Industriali, la tregua e la ricerca di risposte

ITALIA. La presenza del presidente Mattarella all’Assemblea annuale di Confindustria, ma ancor più il fatto del tutto inedito del non breve discorso che il Capo dello Stato ha svolto, ha modificato il senso di questo evento, normalmente bilancio del rapporto tra le imprese, governo, Parlamento e sindacato.

Niente di tutto questo. I grandi problemi dell’attualità politica ed economica sono rimasti nell’afa romana, fuori dalla porta del gremitissimo Auditorium della musica. Non parlare di emigrazione, di tassi Bce, di Pnrr e di imminente legge di bilancio, con un solo doveroso accenno alla sicurezza del lavoro, è apparso un po’ lunare nell’Italia inquieta, preoccupata e incerta sul futuro di imprese e famiglie di questo autunno di promesse non mantenute e pochi soldi. Bonomi lo ha detto fin dalle prime righe del suo discorso: di questo parleremo in altre sedi. Eppure, in platea c’erano i presidenti delle due Camere, quasi tutto il governo (in un angolino per l’opposizione, un’ignorata Schlein e Misiani) e subito dietro il ghota dell’imprenditoria quasi al completo, con Marina Berlusconi new entry.

Mattinata serena dunque per la silente Giorgia Meloni, reduce da un ben più stressante incontro con Orban, il cui sovranismo è uno degli ostacoli più fastidiosi per la «nazione». Dagli amici ci salvi Iddio, mentre Confindustria per ora non scende in campo. L’impressione è stata quella di una tregua, evitando di prendere posizione su qualsiasi argomento spinoso. Eppure la bolla impazzita di Lampedusa non é così lontana dal Flaminio. Eppure i 4,5 punti di costo del denaro Bce confermati proprio poche ore prima, costringono a rivedere il business plan di molti degli ospiti in platea, l’inflazione morde e rende surreali discorsi sui salari (qui Bonomi è stato chiaro nel suo scetticismo sul salario minimo, cui preferire un salario «giusto», frutto di contrattazione e non di leggi). Grandi assenti altri argomenti chiave: gli stravaganti extraprofitti, i redditi e i bonus distribuiti ai cittadini, il fisco, le pensioni, la spesa pubblica. Di cosa hanno dunque parlato ieri mattina Bonomi e Mattarella? Di democrazia, profittando della coincidenza con la Giornata internazionale a lei dedicata. E dunque i discorsi hanno volato alto, lontani dalla rissosa palude del dibattito nazionale. Ecco perché la platea, a differenza di altre occasioni, non ha dedicato applausi a scena aperta e ha lasciato ragionare i due oratori su una rilettura analitica della Costituzione. Cosa di cui l’Italia ogni tanto ha effettivamente bisogno.

E Bonomi ha fatto bene a intitolare uno dei suoi paragrafi più convincenti all’«impresa fabrica della democrazia», ricordando che il diritto costituzionale al lavoro dipende dalla scelta di un’iniziativa economica che si svolge «liberamente dentro un quadro di regole che assicuri la leale concorrenza tra le imprese». Qui ci sarebbe stato bene un accenno all’irrisolto problema delle corporazioni che bloccano la concorrenza, ma ha sorvolato.

Dal canto suo, Mattarella ha individuato nell’economia di mercato il valore costituzionale rilevante in economia ma ha dettagliatamente evocato la finalità sociale che l’impresa deve sempre perseguire. Ed è stato nettissimo nel denunciare che dirigismo e protezionismo sono indice e frutto dell’ autoritarismo. Insomma, due letture della Costituzione ad incastro, suggestive e didattiche, speriamo un ammonimento indiretto ad abbassare i toni, a cercare le convergenze (cosa di aspetta ad avviare un’iniziativa bipartisan sull’immigrazione?). Due lezioni alte. Prendiamole nel loro senso più costruttivo, come cornice dentro la quale governare un’Italia meno faziosa ed eternamente a caccia solo del voto come prova della verità di un giorno e come condanna alle contraddizioni della successiva prova di governo. Lo stesso Bonomi si è presentato a questa Assemblea conclusiva in una curiosa veste di pompiere, di pacificatore, lui che aveva conquistato quattro anni fa la presidenza con toni da incendiario. Ma era il momento del grillismo e aveva ragione nel prevedere guai. Speriamo che abbia ragione oggi nell’auspicare collaborazione, buon senso, e soprattutto europeismo della ragione.

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