Italia troppo lenta
Economia ferma

Il problema italiano non è la copertura in fibra ottica, è il tempo necessario perché ci si arrivi. Per l’amministratore delegato di Siemens Spa, l’italo-svizzero Claudio Picech, è la lentezza dei processi decisionali la palla al piede del Paese. È stata consegnata al governo l’analisi costi-benefici sulla Tav Torino-Lione ma il governo si è affrettato a derubricarla a bozza preliminare. Quindi si dovrà aspettare. Una delle obiezioni contro la Tav suona così: che senso ha spendere soldi in un tunnel se poi le merci si riprodurranno con le stampanti in 3D!

Così si investe in piccole opere. I soldi ci sono, lo assicura il ministero dell’Economia, ma anche qui c’è un dettaglio, mancano i progetti esecutivi. Quindi occorre allestire un piano efficace a livello nazionale, coordinare azioni di facile realizzabilità e organizzarlo con le varie realtà locali. Più facile a dirsi che a farsi. Nel frattempo però l’economia ristagna. In Germania nel terzo trimestre il prodotto interno cala dello 0,2% e questo vuol dire meno lavoro per i fornitori italiani. Vorrebbe dire che anche le esportazioni ne risentirebbero. Cioè quel settore che garantisce 550 miliardi dei quali 450 attribuibili all’industria, con buona pace di coloro che pensano all’Italia come moda e spaghetti.

Per investire il governo deve sapere quali settori incentivare. L’86% delle piccole e medie imprese italiane non utilizza le ultime tecnologie. Il ministro allo Sviluppo economico Di Maio ha parlato in un recente viaggio in Cina dell’Italia come «smart nation», che vorrebbe dire all’avanguardia nelle tecnologie digitali. Tanto per capirci Israele per evitare di cadere nella trappola di chi parla tanto e non riesce poi a realizzare quel che dice investe il 4% in Ricerca e sviluppo. L’Italia è all’1,3%.

Tra il 2008 e il 2016 il calo degli investimenti è stato di 70 miliardi dei quali 60 privati. Ciò che impedisce di muoversi è il nanismo delle imprese. Troppo piccole per essere competitive in un contesto industriale nel quale il prodotto per ora lavorato dal 2006 al 2010 cresce dell’1,6% a fronte del 7,6% di Germania e del 5,9% della Francia. Succede però che nella nuova legge di bilancio scompare l’aiuto alla crescita economica (Ace) con il quale si sosteneva lo sviluppo delle imprese nell’innovazione. La risposta è sempre la stessa: mancano i fondi. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio il totale degli interventi a favore dell’economia ammonta a 38 miliardi. La proiezione degli economisti parla di risparmi di bilancio per 12 miliardi, cioè rinvii di investimenti pubblici, altri 12 miliardi sono a deficit mentre 14 miliardi gravano sulle spalle dei contribuenti e nello specifico delle imprese. I posti di lavoro li crea l’economia e per un Paese con alto debito e bassa produttività è vitale rilanciare la crescita con le grandi opere. Una su tutte: affrontare il dissesto idrogeologico del Paese. Basterebbe pescare negli sprechi della spesa pubblica e dell’evasione fiscale. Solo per dirne una, si calcola che siano 150 i milioni all’anno spesi solo per le piccole feste di paese, soprattutto al Sud. A metterci il becco ci han provato tanti. Forse il più noto Cottarelli, ex direttore del Fondo monetario internazionale. Ma si sono scontrati con il nemico numero uno dei politici: la perdita di consenso. Perché sono 5 milioni, secondo i dati del Centro studi economia reale di Roma, coloro che da queste «spese improduttive» traggono vantaggio. Per recuperare i voti perduti ci vorrebbero almeno quattro anni, quanto basta per rimettere il bilancio sul sentiero virtuoso. Ma chi può permettersi di stare al governo per un intero mandato?

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