La cattiva burocrazia
Smontarla è possibile

«Ogni decisione tardiva dell'amministrazione, anche se dovuta all’ossequio di procedure di decisione o di controllo imposte per legge, rischia non solo di essere inutile, ma molte volte addirittura di assumere valori negativi», così scriveva uno dei massimi giuristi italiani del ‘900. L’opinione di Feliciano Benvenuti toccava un tema caldissimo: l’insofferenza della collettività non soltanto rispetto alle lentezze burocratiche ma anche verso le leggi e le procedure che ne condizionano l’operato. Insofferenza che diventa in molti casi allergia verso le regole. Approdo pericoloso che va evitato, poiché rischia di incancrenire il problema invece di risolverlo.

Le colpe addossate ai dipendenti pubblici a volte non dipendono esclusivamente dal loro operato ma da altri fattori. Le cronache di questi mesi sono piene di casi di scarsa funzionalità. Si pensi agli inspiegabili ritardi nell’erogare aiuti alle imprese e ai cittadini in difficoltà. Di fronte a fatti del genere ci si chiede come sia possibile che le strutture pubbliche non sappiano muoversi con rapidità ed efficacia. Domande alle quali dovrebbero dare risposta, prima ancora dei «burocrati», coloro che scrivono norme complicatissime ed emanano circolari capaci di mettere in crisi persino i funzionari più esperti. Ciò non giustifica affatto le manchevolezze degli uffici pubblici, ma bisogna essere consapevoli che l’impiegato è talvolta l’ultima ruota del carro e funge da parafulmine di processi decisionali spesso confusi e astrusi.

Burocrati sotto accusa, quindi. Non senza ragione, poiché tutti sogniamo una pubblica amministrazione senza burocrazia. Ma si tratta di un ossimoro: non può esistere alcun sistema pubblico senza burocrazia. Non occorre scomodare Max Weber e tutti coloro che hanno studiato il «fenomeno burocratico». L’espressione «amministrazione senza burocrazia» non può che essere intesa – sosteneva decenni fa un magistrato della Corte dei Conti - «nel senso di un’amministrazione senza burocratismo cioè senza cattiva burocrazia». Cattiva burocrazia che produce un’amministrazione impregnata di formalismo astratto, spasmodicamente attaccata al rispetto letterale delle procedure, sordo alle esigenze della società.

Come si può rimuovere questo Moloch oppressivo e ingombrante? Come riuscire ad alleggerirne i meccanismi di funzionamento, affinché migliori la qualità dei servizi resi ai cittadini e affinché il «costo sociale» degli apparati pubblici sia pari, e non superiore, al loro rendimento? In realtà, il primo passo da compiere è smontare la diffidenza reciproca tra i due sistemi, il pubblico e il privato. I funzionari non sono tutti degli ottusi burocrati e non tutti gli imprenditori sono corruttori e tangentisti. Ai primi si chiede di sveltire con intelligenza, per il bene comune, le procedure amministrative; al mondo d’impresa di non lucrare irragionevolmente nella legittima ricerca del profitto.

In merito, nel bene e nel male, due casi a confronto. La ricostruzione del ponte Morandi rappresenta un esempio di efficienza e di «leale collaborazione» nella realizzazione di un’opera di assoluto interesse per i cittadini. Di contro, l’effimera esistenza dell’ospedale alla Fiera di Milano è l’emblema dei vecchi vizi nazionali. Uno spreco assurdo: 28 milioni di euro per mettere in piedi una struttura che chiude dopo aver ospitato poche decine di pazienti con un costo (stimato) a persona di un milione di euro. Dal confronto emerge una lezione chiara. Affinché le «buone pratiche» non costituiscano soltanto un’eccezione, occorre intervenire su due versanti. Non ingabbiare le decisioni pubbliche in una selva di controlli preventivi, di autorizzazioni, di pareri, di «concerti» tra amministrazioni diverse.

Contemporaneamente serve una più accurata selezione dell’alta dirigenza pubblica. Le sciagurate leggi in materia, introducendo lo spoils system all’americana, hanno «favorito il favoritismo» e l’ingerenza politica nella gestione amministrativa. Su questi due terreni il cambio di rotta deve essere rapido e radicale, altrimenti c’è ben poco da sperare.

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