La cautela della Nato per evitare l’irreparabile

ESTERI. Avanti, calma, adagio. Questa frase, prestito del linguaggio della marineria, riassume perfettamente i risultati del summit della Nato. Non importa - è il messaggio lanciato a Vilnius - se l’Ucraina oggi non sia membro dell’Alleanza atlantica, ma ora sta venendo messa in sicurezza come già accade con Israele.

Solo dopo la fine del conflitto Kiev farà con celerità il suo ingresso nell’organizzazione militare occidentale, ma dovrà prima adeguarsi a ben determinati standard. E a Mosca toccherà così ingoiare un boccone davvero amaro per la sua avventura. La brusca accelerata impressa da Volodymyr Zelensky, che chiedeva prima del summit un calendario preciso per l’adesione, è stata controproducente ed ha irritato non pochi partner. Al presidente ucraino è stata ribadita la fiducia occidentale, ma essa non è incondizionata. Il collega ceco, ex generale della Nato, gli ha ricordato che Kiev ha una finestra temporale, che si chiuderà a fine dicembre per riconquistare più territori possibili, poi si dovrà iniziare a negoziare con Mosca seriamente. Il 2024 è l’anno delle elezioni negli Stati Uniti, in Russia e in Ucraina. Di conseguenza bisognerà tenerne conto.

Da Vilnius, Zelensky non è ripartito a mani vuote. Anzi. Ha fatto il pieno di forniture di armi che gli serviranno per dare maggiore forza alla sua controffensiva. Importante è l’approvvigionamento dei missili a lungo raggio francesi, così la Crimea potrà entrare nei mirini di Kiev. Il problema maggiore è che gli occidentali non riescono a produrre tutte le munizioni che servirebbero per l’artiglieria ucraina, ma lo stesso discorso vale al contrario anche per i russi che hanno le medesime difficoltà. A Vilnius è, quindi, prevalsa la cautela dei grandi Paesi come Stati Uniti, Germania e Italia, i quali vogliono sia limitare al massimo il rischio di uno scontro diretto tra Russia e Nato che non assumere adesso decisioni irreversibili che potrebbero compromettere sul nascere i futuri rapporti col Cremlino. La Polonia e le repubbliche baltiche, «falchi» nell’appoggio a Kiev, hanno incassato lo stesso ampie rassicurazioni sul rafforzamento del «fronte orientale» della Nato.

La Russia tira, in verità, un sospiro di sollievo: il rischio di un’adesione ucraina immediata all’Alleanza atlantica avrebbe aperto scenari terrificanti. Non a caso, da settimane, la propaganda federale ricordava all’Occidente i pericoli nucleari. La Nato torna «ai tempi della Guerra fredda», ha comunque tuonato il ministro degli Esteri, Lavrov, giusto per salvare le apparenze. Ma l’ammutinamento dei mercenari della Wagner del 24 giugno ha cambiato le prospettive interne prossime future al gigante slavo e ha aperto crepe profonde tra i militari, gli organi di sicurezza, i servizi segreti e il potere politico, i cui contorni sono al momento poco comprensibili.

A tutto ciò va poi ad aggiungersi lo scollamento con la società civile e la preoccupazione degli oligarchi timorosi per una possibile ridistribuzione delle proprietà private. Così, all’improvviso, qualche voce indipendente inizia già a bucare la rigida censura e ad avere meno paura delle continue condanne penali contro i dissenzienti. Mentre la corsa agli sportelli bancari ha fatto crollare il corso del rublo in pochi giorni, già qualcuno - addirittura in televisione - afferma: «Prima finisce questa tragedia meglio è».

In conclusione: a Vilnius l’Alleanza atlantica ha mostrato i muscoli, concedendo però al Cremlino tempo per ravvedersi e agli ucraini mesi per la riconquista. L’irreparabile per ora è stato evitato.

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