La finestra chiusa
la preghiera che abbraccia

In piazza San Pietro la prossimità autorizzata è una fettuccia rossa che si tiene stesa tra due mani. La finestra più famosa del mondo è chiusa. Il vuoto è la misura dell’emozione tra le braccia del Bernini dove si sta come dame sulla scacchiera, un nero occupato e un bianco vuoto. Papa Francesco non si affaccia, meglio non rischiare l’affollamento dei controlli di sicurezza. Così la Santa Sede ha deciso di ricostruire una prossemica accettabile, lì sotto i due grandi schermi. Bergoglio parlerà in diretta dalla Biblioteca apostolica e tutti lo aspettano, gli uni distanti dagli altri.

La televisione avvicina quarantene e cambia i ritmi, non più estrania, come si denunciava fino a poco fa nelle analisi delle solitudini indotte. Francesco è in piedi davanti ad un leggio, come ogni domenica. Cambia solo la location e manca il vento. Anche lui avverte l’emozione, gli pesa l’imbarazzo della negazione dell’affaccio al punto che alla fine non resiste e annuncia che aprirà di lì a poco la finestra, per guardare, per osservare la scacchiera della piazza e per benedire. Ma le prime parole sono per la straniazione che prova anche lui: «È un po’ strana questa preghiera dell’Angelus di oggi con il Papa ingabbiato nella Biblioteca, ma io vi vedo, vi sono vicino».

Abbraccia con gli occhi le persone là fuori, spiega che anche questo è un modo «di pregare l’Angelus» e non dimentica il mondo che soffre oltre piazza San Pietro, oltre il virus che provoca incubi. E subito parla dei disperati di Idlib, dei «dimenticati di Idlib», l’ultima città martire della Siria, finita nel cono d’ombra della scelleratezza, rafforzata nel suo tragico oblio dal virus globale.

Bergoglio non ci sta e intreccia i drammi perché nessun più permettersi di dimenticare Idlib neppure in tempi di coronavirus. In piazza ci sono varie associazione dai Gesuiti del Centro Astalli all’Associazione dei giornalisti amici di Padre Paolo Dall’Oglio con uno striscione bianco, che invita a non dimenticare le sofferenze della gente di Siria e Bergoglio rafforza l’intenzione: «Non si deve distogliere lo sguardo di fronte a questa crisi umanitaria».

Profughi, guerra e coronavirus. La preghiera avvicina tutti, antica prossimità che ricostruisce legami e svela vicinanza al tempo delle distanze di sicurezza per amore. Non è facile stare senza Messa per quasi un mese. Ma il decreto del governo non ammette sconti. Così ieri pomeriggio è dovuta intervenire prima la diocesi di Roma per ribadire lo stop alle Messe e poi la Cei per spiegare che “l’interpretazione fornita dal governo include rigorosamente le Sante Messe”. La precisazione si è resa necessaria, purtroppo, anche perché in rete giravano inviti a celebrazioni clandestine e denuncie su una presunta limitazione alla libertà religiosa e di culto contenuta nel decreto di Palazzo Chigi. La paranoia di alcuni non conosce limiti, neppure quello del rischio a cui espone fedeli sprovveduti. La forza della preghiera invece è la sola che aiuta a reinventare distanze al punto da annullarle. Così da oggi la Messa del Papa a Santa Marta sarà trasmessa in diretta tivù e nessuno osi dire che si tratta di una magra consolazione, perché sarebbe un bestemmia. Pregare è affidamento nel momento della prova, pregare rimescola le quarantene, anche in silenzio, anche da soli.

Il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, pregherà il Rosario oggi alle 17,30 nel Santuario dell’Addolorata di Santa Caterina per «la salute del nostro popolo» in diretta sui canali social, a Bergamo Tv e sul sito de L’Eco di Bergamo. Non va lasciato solo. La preghiera è l’unico abbraccio che oggi ci possiamo permettere.

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