La Germania
recupera egemonia
con l’energia

Gli Stati Uniti di Joe Biden cancellano le sanzioni: il Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto sotto al mar Baltico, potrà essere pertanto completato a breve. La Germania, già una potenza industriale di prima grandezza, diventa ora una superpotenza e si trasforma a nord, allo stesso tempo, anche in hub energetico continentale. Dopo l’abbandono dell’uso del carbone e dell’energia atomica e in attesa di migliori risultati dell’energia verde, Berlino si ritrova chi - la Russia - gli porta le materie prime fin dentro casa, garantendogli nuove molteplici opportunità per ridistribuire il gas dentro al ricco mercato europeo.

È inutile negarlo: questa è una rivoluzione geopolitica ed energetica destinata ad avere profonde conseguenze nel XXI secolo. Non solo fa della Germania, ancor di più, Paese leader tra i Ventisette, ma lega anche la Russia alla locomotiva continentale, assicurandole clienti solventi e un flusso di denaro vitale per il suo Tesoro. Flusso, si badi bene, utile per influire sui processi decisionali al Cremlino e non buttare del tutto Mosca tra le braccia della Cina.

È anche vero che Polonia e repubbliche baltiche, memori del passato e preoccupate di quanto avvenuto dopo il 2014, gridino adesso alla riedizione del patto Ribbentrop-Molotov. Ma migliorare la rete elettrica in queste regioni Ue - 17 anni dopo la loro adesione - e attrezzare con più efficacia rigassificatori in mare per l’Lng, il gas liquefatto, di provenienza Usa come si sta già facendo sono risposte facili da mettere in atto.

La scelta dell’Amministrazione Biden è certamente un modo per riavvicinarsi alla Germania e all’Unione europea dopo i disastri della presidenza Trump. Indirettamente Washington, con questa mossa, scommette sulla democratizzazione dell’Ucraina, la vera perdente di questo puzzle energetico, che vede ridimensionarsi il suo peso geostrategico come Paese finora di transito obbligato del gas russo verso l’Ue.

Il raddoppio della condotta del Baltico modifica inoltre il complicato rapporto tra fornitori di materie prime e consumatori nel Vecchio continente: ora più sono le vie d’accesso e più sono i fornitori, meno si paga. Si studi la strategia cinese su questo aspetto per rendersene conto.

Non è, però, corretto dire che questa sia una vittoria per la Russia. Anzi: Mosca ha dovuto alzare i toni oltre il limite, non venendo ascoltata per mesi. Sono stati gli occidentali a dimostrare che alla fine sono loro a scegliere e non altri. E saranno sempre loro a decidere come usare questo gas e domani si impunteranno sul prezzo.

Sono stati, invece, sconfitti coloro che, scordatisi quanto sia storicamente grave l’instabilità in Russia, ritengono che soffocare Mosca finanziariamente – come l’Occidente fece durante la Guerra Fredda – sia la strada giusta per portare Vladimir Putin a più miti consigli. Ci si dimentica che, rispetto ad una trentina di anni fa, è nato un polo finanziario – quello cinese – alternativo a quello euro-americano.

Dispiace in queste ore che da tempo sia fallito il progetto gemello – il South Stream sotto al mar Nero – con l’Italia capofila, destinata a sua volta a diventare l’altro hub energetico continentale, ma a sud.

Il nostro Paese ha tentato di porvi rimedio con condotte alternative, tipo la Tap. Prestare particolare attenzione all’evolversi della crisi libica e all’esito delle trivellazioni nel mar Mediterraneo orientale, dove francesi e turchi sono quasi arrivati a fronteggiarsi militarmente, è fondamentale non solo per la nostra sicurezza energetica ma anche per contare geopoliticamente in futuro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA