La gestione dei rifiuti con i termovalorizzatori: tecnologia e pregiudizi

Mentre una guerra vera è in corso, in Italia c’è chi porta avanti guerre fasulle sull’energia, proprio il capitolo che in questi mesi è stato del tutto rivoluzionato, alla luce della dipendenza italiana ed europea dall’orso russo.

L’ultimo colpo di coda pentastellato, tutto proteso a certificare l’esistenza in vita dell’ex primo partito del Parlamento, riguarda il termovalorizzatore di Roma, che il pregiudizio chiama inceneritore, termine che fa pensare non ad una straordinaria tecnologia, ma ad un mucchio di residui maleodoranti. Basterebbe andare nella vasca finale e vedere piccoli frammenti secchi destinati per esempio a potenziare il bitume per le strade. Ciclo completo.

A Brescia, con ricadute importanti a Bergamo a seguito della fusione delle due municipalizzate, da oltre 20 anni esiste questo impianto, il più grande d’Italia, che scalda e raffredda quasi tutta la città, arricchisce le casse comunali, ha tolto di mezzo migliaia di camini, migliorato la qualità dell’ambiente, ed è stato esportato – dopo cento capricci e mille cortei organizzati dalla camorra – ad Acerra, nella capitale della terra dei fuochi, facendo finire di colpo l’emergenza. Il sindaco Gualtieri, con singolare audacia, ma con la serietà che secondo Letta dovrebbe essere la carta vincente del Pd (non altrettanto sta però accadendo in altre città amministrate dal suo partito), ha deciso di installarne uno nella capitale dei cinghiali e dei gabbiani, sfruttando la norma emergenziale che ne prevede in tutta Italia una decina. Una manna per una città che è ancora al 45% di indifferenziata e produce ogni anno 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, bene peraltro preziosissimo, tanto che valgono 150 milioni di euro l’anno, in parte destinati a pagare viaggi non turistici della monnezza in Italia e in Paesi con i verdi al governo come Svezia e Germania, in passato anche un po’ in Africa. Almeno un terzo si potrebbe risparmiare. Incaricando la solita archistar, si potrebbe persino abbellire qualche quartiere, e far diventare l’impianto un centro di aggregazione sociale, come a Copenaghen, dove i danesi sciano sul tetto o a Vienna, dove convive con zone chic, in pieno centro. In Europa, del resto, esistono 492 di questi impianti, che distruggono 100 milioni di tonnellate di rifiuti, dando una mano all’obiettivo europeo del 65% di riciclo, mentre da noi un certo ambientalismo è l’involontario promotore di eterne discariche.

L’ineffabile Giuseppe Conte, progressista di recente arruolamento, è contrario, ma Beppe Grillo, che è meno progressista ma più svelto, si è inventato un diversivo, la «combustione senza fiamma», l’ossicombustione, già bocciata dalla Raggi e inadatta per dimensione ad una grande città. Chissà se Conte capisce che è una mossa politica per aiutarlo ad uscire da un altro scacco? La verità è che, in un Paese come il nostro si può battere l’emergenza energetica solo con un puzzle di soluzioni diverse.

L’altro caso che sta montando è infatti un altro pregiudizio, quello che a Piombino ha coalizzato un’intera città contro la nave che dovrebbe dall’inverno prossimo rigassificare il gas liquefatto. Gli impianti fissi esistenti sono tre e occorre correre. Solo a Piombino si potrebbero togliere 5 miliardi di euro dal conto da pagare al Cremlino.

Stiamo meglio della Germania, più dipendente dalla Russia di noi, e che deve ora rilanciare le centrali a carbone e prorogare la chiusura di quelle nucleari. A proposito di queste ultime, Eni ha finalmente fornito una data abbastanza a breve per il funzionamento del prototipo della fusione, in fabbricazione in Usa. Una tecnologia che andrà ad acqua, e cambierà la faccia della terra. Peccato che in Italia, dove eravamo all’avanguardia, abbiamo ammazzato la ricerca e fatto fuggire altrove i cervelli.

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