La manovra, un rebus sulla strada del voto Ue

ITALIA. Sostiene una nota economista che l’Italia ha timore sia che il Patto di Stabilità Ue torni alle vecchie regole pre-Covid sia che esso venga rinnovato.

L’affermazione – non infondata - finisce per completare il pensiero espresso l’altro giorno a Rimini dal ministro Fitto secondo il quale dal 1° gennaio 2024 le norme europee potrebbero costituire un serio problema per il nostro Paese soprattutto se il Pil dovesse mantenere la traiettoria al ribasso già imboccata (sia pure più lentamente di altri Paesi come la Germania e l’Olanda già in recessione). Regole più stringenti sul rientro del debito e sul tetto al deficit in relazione al Pil significa che il governo avrebbe margini ancora più ridotti per scrivere la legge di bilancio 2023. Già il ministro Giorgetti ha messo le mani avanti per dire che «non tutto si potrà fare» ma il rischio è che la legge rappresenti una autentica delusione per l’elettorato del centrodestra alla vigilia di determinanti elezioni europee in primavera.

Per fare un esempio: la priorità della coalizione e del governo è rappresentata dal taglio del cuneo fiscale sul costo del lavoro, oggetto di interventi sia del governo Draghi che di quello di Giorgia Meloni. Si tratta però di misure che scadono alla fine del 2023: se non vengono prorogate, il rischio è che dal 1° gennaio le buste paga degli stipendi entro i 35mila euro subiscano una cocente decurtazione, una beffa prima ancora che un danno. Ebbene, per prorogare i tagli (che prima o poi dovrebbero essere resi strutturali, cioè stabili) servono una decina di miliardi.

Poiché in deficit la manovra non sarà possibile farla, bisognerà trovarli, mentre si metterà mano alla riforma dell’Irpef che dovrebbe scattare anch’essa dal 2024 alleviando il peso del fisco sui redditi medio-bassi, quelli che il governo intende privilegiare. Redditi bassi e famiglie numerose, almeno con tre figli: per quest’ultime si parla di quoziente familiare, una vecchia aspirazione del centrodestra sulla base dell’esempio della Francia che però non è mai stato possibile replicare al di qua delle Alpi. Spingono per essa soprattutto i settori cattolici della maggioranza, quelli che più pongono l’accento sul tema della natalità. La crisi demografica del resto è nella piena consapevolezza di tutti: proprio Giorgetti ricordava al Meeting che, se non nascono figli, nessuna riforma previdenziale può reggere. E le pensioni sono anch’esse al centro delle promesse elettorali, soprattutto della Lega (ieri Salvini ha rilanciato la cosiddetta «quota 41» per mandare le persone in pensione con quel numero di anni di contribuzione a prescindere dall’età).

In sostanza, si sta parlando di una manovra di circa 30 miliardi di cui almeno 20 sono ancora da trovare. Potrebbero dare una mano le banche con la tassa sugli extraprofitti (almeno 3 miliardi) che verrebbe imposta una sola volta a mo’ di «contributo di solidarietà» da restituire a breve. Ma quanto alle accise sulla benzina, Meloni ha già chiarito che non ci saranno cancellazioni degli odiati balzelli ma si sa che nel vertice dell’altro giorno in Puglia, Salvini è tornato a chiedere un «segnale» ai contribuenti-automobilisti anche su questo fronte: il problema è come trovare i soldi… Senza contare che anche il ministro della Sanità Schillaci batte cassa e chiede 2-3 miliardi in più per il personale ospedaliero.

Le opposizioni aspettano al varco il governo, pronte a rinfacciare a Meloni la «lotta ai poveri» (riferito all’abolizione del reddito di cittadinanza o ai tentennamenti sul salario minimo) come la chiama Giuseppe Conte o «il reato di solidarietà» (parlando di immigrati) secondo gli attacchi più recenti di Elly Schlein a Giorgia Meloni. Quest’ultima ha replicato: «Applichiamo le leggi contro l’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani che ci sono in tutti i Paesi». Come si capisce, la campagna elettorale si avvicina a grandi passi.

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