L’Ambiente protetto
soltanto sulla carta

Dopo Genova, tragedia da 11 settembre «civile», le inondazioni a Catania e a Lamezia Terme, con altre vittime innocenti. Eventi luttuosi diversi, legati da un fattore comune, l’incuria colpevole, la scarsa attenzione alla serietà dei problemi. Le falle sono, essenzialmente, due: infrastrutture inadeguate, carenze gravissime nella manutenzione. Entrambi gli aspetti aggravati dalla quasi totale inesistenza di controlli.In cima alla scala delle pecche sta, però, la mancanza, nel nostro Paese, di una seria cultura ambientalista. In merito occorre prendere atto che - a parte importanti e lodevoli eccezioni - la tutela dell’ambiente in Italia non ha mai attecchito realmente. Né come politica di governo, né all’interno delle Istituzioni, né tra i cittadini.

Per quanto riguarda le scelte di governo (non soltanto di questo governo, ma di quelli dell’intera storia repubblicana) occorre amaramente prendere atto che quella ambientale è stata costantemente una «politica fittizia». Oppure una «politica retorica». Alla marea di promesse altisonanti e di roboanti dichiarazioni raramente sono seguite regole e azioni conseguenti. Un indizio, all’apparenza secondario, serve a cogliere la distanza abissale tra proclami e politiche attive: il Ministero dell’Ambiente è stato considerato dai partiti di governo sempre un dicastero di serie B. E, non a caso, alla sua guida raramente si sono avvicendati ministri di adeguata competenza. In un apparato, peraltro, nel quale le competenze tecniche sarebbero indispensabili. E dire che al momento dell’istituzione del ministero (nel 1986) fu concorde il coro degli apprezzamenti e furono molte le speranze che ne accompagnarono l’esordio. L’idea di politiche di coordinamento delle attività del ministero era consegnata all’obbligo di un rapporto annuale sullo stato dell’ambiente da inviare al Parlamento.

Nei fatti il ministero nasceva con le ali tarpate, poiché il raccordo con le Regioni è stato sempre difficoltoso. Gli ulteriori spostamenti di funzioni a livello locale, disposte a partire dagli anni ’90, non hanno migliorato il quadro. Al contrario, l’intreccio tra Ministero, Regioni, Agenzie regionali, Province, Comuni, piuttosto che creare sinergie ha determinato spesso confusioni e paralisi. Ciò spiega come fenomeni di non enorme entità producano disastri del tutto sproporzionati rispetto agli eventi. Spesso i nubifragi trasformano le città in fiumi a causa della carenza di manutenzione delle fognature, della scarsa tenuta degli argini di fiumi o anche di piccoli corsi d’acqua. Da questi apparenti dettagli si misura la disattenzione nei confronti di una reale prevenzione non affidata soltanto alle campagne promozionali del ministero o alle (pur meritorie e sempre utili) attività di educazione ambientale che si fanno in molte scuole.

Anche sul versante della società civile le falle non mancano. Tutt’altro. Infatti, lo scarto tra enunciazione del problema e comportamenti collettivi è notevole. Il neo più vistoso è costituito dall’aggiramento delle norme edilizie. Abusi incredibili rimasti in piedi a forza di sanatorie, interi quartieri di città sprovvisti di fogne o costruiti in modo da rendere difficoltoso qualsiasi intervento di emergenza. Tutte trasgressioni che sono state tollerate. Di fronte alle ricorrenti emergenze, figlie del disamore e della disattenzione per l’ambiente, i protagonisti finiscono per essere sempre gli stessi. Forze dell’ordine, volontari e, in testa, i Vigili del fuoco. Chiamati a scavare tra le macerie, a sollevare vittime, a spalare fango dalle strade e dalle case. Lavoro eroico, ma ci piacerebbe vedere più spesso questi esemplari servitori dello Stato intenti a salvare un gattino su un cornicione, o soccorrere una vecchina intrappolata in ascensore. Sarebbe un segnale di cambiamento

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