L’autunno della premier si colora di grigio

ITALIA. Soldi pochi, problemi tanti.

Il vertice di maggioranza di ieri sera, più politico che tecnico (il ministro Giorgetti era assente) è servito a Giorgia Meloni per serrare i ranghi in vista della legge di bilancio, selezionare le priorità ed evitare incidenti di percorso: l’atto più importante del governo a un anno dall’insediamento a palazzo Chigi, la prima manovra finanziaria vera e propria della coalizione di destra-centro perché quella del 2022, per i tempi stretti, era stata costruita sulla scia di Draghi. Serrare i ranghi, dopo le divisioni di questi mesi sui dossier più sensibili, vuol dire diffondere l’immagine di un esecutivo coeso che fin qui, sull’economia, è stato dentro i vincoli europei e che, sul piano delle gestione degli affari correnti, ha visto il piglio di comando della premier sopperire ai deficit della sua classe dirigente. Si tratta di limitare preventivamente l’assalto alla diligenza dei soci di maggioranza, visto che il varo della legge di bilancio coinciderà con la campagna elettorale per le europee, dove ognuno corre per sé. Gli interessi di Salvini e Tajani divergono da quelli di Meloni: l’appuntamento della prossima primavera sarà vitale, perché i due alleati temono che la marcia dentro le istituzioni di Fdi avvenga a loro spese. Le europee sono un elemento di disturbo, mentre il quadro economico è sfavorevole: l’inflazione continua a mordere, il prezzo della benzina s’impenna, i mutui salgono, il disagio sociale resta costante, le stime sul rapporto deficit-Pil passano dal 4,5% al 5%. S’impone il pragmatismo di governo sull’ideologia.

La premier e Giorgetti, che ha in mano i cordoni della borsa, hanno preparato il terreno psicologico per raffreddare le eccessive attese e disciplinare il gioco al rialzo di Salvini e Tajani, la tentazione cioè di collocare le bandierine di appartenenza. Meloni sceglie la linea della prudenza e punta su un orizzonte di legislatura, Giorgetti riafferma il principio dei conti in ordine e del rispetto dei parametri di Bruxelles. Insomma, bisogna fare di necessità virtù: significa accorciare le distanze fra le insostenibili promesse elettorali e l’atterraggio su una realtà che ha raccontato una storia diversa. Servono 30 miliardi e circa la metà è ancora scoperta.

L’impronta politica dovrebbe riguardare il rinnovo del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori a basso reddito (vale 10 miliardi), le pensioni minime (il rialzo chiesto da Fi) e la natalità. Poi ci sarebbero il bonus benzina, nuovi sostegni per arginare il caro bollette e la messa a punto delle discusse tasse sugli extraprofitti delle banche. Nel frattempo l’artiglieria di Salvini ha rotto la tregua con Gentiloni («Sembra straniero»), già nell’aria dopo che l’eurocommissario aveva raccomandato alla presidente del Consiglio che dal Mes non si può fuggire e che la manovra dovrà essere light.

Se le misure sono a scartamento ridotto, con i traguardi del Pnrr in salita, il colpevole è già stato trovato: il macigno del Superbonus che, provvidenziale o infelice che sia stato, oggi è comunque funzionale alla maggioranza per giustificare una manovra povera di risorse. Se le casse sono vuote, sarebbe colpa della finanza creativa dei precedenti esecutivi, soprattutto del Conte 2, e ora i debiti li paga la destra. La legge di bilancio si presenta scivolosa, su un equilibrio fragile: garantire rigore e allo stesso tempo non perdere consensi. È Meloni a ricordare che non si può fare tutto, mettendo nel conto che non tutte le categorie di riferimento del centrodestra usciranno soddisfatte. Il grigio colora l’autunno: dopo l’estate pop, vedremo la premier con il loden dell’austerità e lavorare di forbici.

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