Le inchieste e quella
sciagurata riforma

Viene spontaneo dire che dopo la pandemia e la crisi economica che ne produrrà una sociale ancor più grave, di tutto avevamo bisogno tranne che di attorcigliarci intorno alle inchieste giudiziarie sul comportamento di questo e di quello durante la fase più drammatica del contagio da Covid. Eppure così succede, e probabilmente dovevamo aspettarcelo: non solo in Lombardia ma presto in giro per l’Italia si alzerà una montagna di inchieste, polemiche, carte bollate per decidere se ci sono responsabilità penali in quello che si è fatto. Oltretutto, nel Paese dei guelfi e dei ghibellini, l’inchiesta della procura di Bergamo sulla mancata istituzione delle zone rosse in Val Seriana oscilla tra la giunta di centrodestra a guida leghista della Regione Lombardia e il governo nazionale giallo-rosso a guida Conte.

Ce n’è abbastanza per dividere immediatamente le tifoserie inchiodandole intorno alla domanda: chi doveva operare e non l’ha fatto, a chi spettava decidere e si è tirato indietro? Difficile mestiere anche per la dottoressa Rota che ieri ha ascoltato a Roma come persone informate sui fatti il presidente del Consiglio Conte e i due ministri più coinvolti, Lamorgese e Speranza. Tra l’altro questo accade nel momento in cui a palazzo Chigi si preparavano a concentrare l’attenzione nazionale ed europea sugli Stati generali dell’Economia: viceversa, è facile che ora si parli più di indagini e interrogatori che di tabelle e riforme.

Per come finirà l’inchiesta della Procura di Bergamo, se accerterà delle effettive responsabilità finirà per assestare un colpo che avrà inevitabili conseguenze politiche: sia il governo di Roma che quello lombardo, in questo caso alfieri di due bandiere diverse, possono esserne colpite. E più precisamente sia Conte che Fontana. L’uno e l’altro durante tutta la pandemia hanno svolto un ruolo leaderistico più marcato del consueto, concentrando su loro stessi i poteri e dunque le attenzioni. Questo è vero in particolare per Conte, non poco criticato dai suoi stessi alleati (oltreché dalle opposizioni) per l’inclinazione alla decisione solitaria di cui i Dpcm sono stati il simbolo amministrativo.

Ma se si sta continuativamente sul palcoscenico illuminati dai riflettori in semi-solitudine, fatalmente si finisce per fare da bersaglio alle critiche e alle recriminazioni. Tantopiù in una vicenda così drammatica e del tutto straordinaria come quella che abbiamo vissuto, soprattutto in Lombardia e a Bergamo. Dunque Conte il rischio di fare il capro espiatorio se lo doveva aspettare. Questo peserà sul suo futuro politico di possibile capo di un nuovo partito? Ovviamente sì, se le cose dovessero inclinare negativamente per lui.

C’è però un secondo elemento che il costituzionalista professor Ainis ha messo giustamente in luce. L’inferno legislativo in cui purtroppo la Repubblica si dibatte e di cui la sciagurata riforma del Titolo Quinto del 2001 è il centro, è il contesto perfetto per confondere ruoli e responsabilità, poteri e competenze. A seconda di come si leggano articoli e commi o di quali leggi si prendano in considerazione, si possono trarre conseguenze ambiguamente diverse e ciascuno può a buon titolo rivendicare la correttezza del proprio operato scaricando su qualche altro soggetto istituzionale la responsabilità di un certo accaduto. Questo è un fatto che non può essere negato e che anzi è variamente esecrato senza che però nessuno sia in grado di porvi rimedio. Anzi, ogniqualvolta si provi a semplificare, invariabilmente si complicano ancor di più le cose.

Quando - commentando i fatti di questi giorni - si dice: «siamo alla fase dello scaricabarile», bisogna anche tener presente che tra tante grida manzoniane, può accadere tutto e il suo contrario.

© RIPRODUZIONE RISERVATA