Le infrastrutture aiutano la crescita, ma il nostro Paese è troppo indietro

Esiste da sempre una stretta correlazione tra un’efficace progettualità infrastrutturale e una maggiore competitività e benessere del tessuto produttivo nazionale. Proprio su questo tema, una recente analisi del Centro Studi Divulga ha evidenziato come l’Italia, nonostante la spinta propulsiva del commercio, risulti ahimè prima in Europa per quanto concerne il gap tra domanda e offerta (investimenti) d’interventi infrastrutturali. La conferma arriva anche da uno studio curato dal «World Economic Forum», che monitora il livello di competitività delle economie mondiali valutando anche il livello delle infrastrutture, il quale evidenzia che l’Italia si è collocata nel 2019 al 30° posto, molto più indietro rispetto a Olanda, Germania, Francia e Spagna. Secondo stime del «Global Infrastructure Outlook», nel 2019 la differenza su base annuale tra la necessità d’infrastrutture del nostro Paese e gli investimenti effettuati è stata di circa 10 miliardi di euro. Se il trend dovesse confermarsi, tale divario potrebbe raddoppiare nei prossimi 20 anni, raggiungendo i 20 miliardi.

Un quadro poco incoraggiante, aggravato da un’analisi dettagliata degli indicatori sulle quattro principali infrastrutture. Il trasporto su strada rappresenta la prima modalità di movimento delle merci con l’88%, contro una media europea del 76%. A questo primato relativo all’intensità dei movimenti su strada corrisponde però un primato negativo in termini di qualità delle infrastrutture viarie, che vede l’Italia al 20° posto in Europa, davanti solo ai paesi dell’Est. Nel trasporto via mare, l’Italia occupa il secondo posto in Europa dietro l’Olanda, con 508 milioni di tonnellate di merci movimentate nei vari porti.

Tuttavia, Trieste è l’unico porto che si colloca all’8° posto nei primi dieci europei e, con riferimento ai sistemi di infrastrutture al servizio di navi porta container, il sistema portuale italiano è di molto in ritardo rispetto ai principali porti del Nord Europa. Circa l’estensione della rete ferroviaria, l’Italia è seconda solo alla Germania, con un divario considerevole (16,7 mila km contro 38,4 mila) che pesa, visto che il confronto è con la principale concorrente nell’industria manifatturiera. Per quanto riguarda, invece, l’efficienza dei servizi associati alla rete ferroviaria, ci collochiamo in coda al 20° posto. Riguardo al sistema aeroportuale raggiungiamo l’8° posto con Malpensa ma, guardando ai vari sistemi aeroportuali nazionali, l’Italia non brilla nei parametri di efficienza collocandosi al 20° posto.

Tali carenze sono state alla base della maggiore dotazione di fondi all’Italia attraverso il Next Generation Ue (210 mila miliardi). Di ciò ha tenuto ampiamente conto anche il Pnrr, riservando 62 miliardi per mobilità, infrastrutture e logistica. Di questi, 40,7 miliardi provengono dai fondi europei e 21 miliardi da risorse nazionali per progetti relativi a un orizzonte più lungo rispetto al 2026 stabilito dal programma europeo. Il successo del Piano, sul quale si basa gran parte del futuro economico e sociale del Paese, è legato al contenimento dei tempi di attuazione delle opere. L’esperienza del passato dice di tempi che vanno dai 4,5 anni agli 11 anni per le opere che superano i 5 milioni e a 15 anni per progetti oltre i 100 milioni. Per ridurre questi tempi sono in corso di attuazione semplificazioni normative che riguardano, in particolare, il settore degli appalti e che si propongono di assicurare snellezza operativa e un’assoluta garanzia di sicurezza e correttezza dei processi esecutivi, anche attraverso l’istituzione di un apposito comitato ministeriale.

Senza dimenticare che la stessa erogazione dei fondi è condizionata alla verifica da parte della Commissione europea del rispetto delle varie fasi di avanzamento dei progetti.

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