Le sterzate della Lega dal pratone di Pontida

IL COMMENTO. Dal 1990 a oggi il popolo leghista ne ha viste e sentite di ogni sul pratone di Pontida. Diktat, ultimatum, penultimatum, toni perentori e rassicurazioni su una linea politica invero abbastanza accidentata. Vero che il Carroccio non si è mai definito di destra o di sinistra ma federalista, con divagazioni su secessionismo e indipendentismo, salvo poi ripiegare su una posizione da partito nazionale e nazionalista presentata come unica via possibile per ottenere quanto meno una parvenza di regionalismo.

Se poi la strada imboccata dal bergamasco Roberto Calderoli arriverà in fondo si capirà tra non molto, fermo restando che gli ostacoli principali sembrano tutti interni alla coalizione, in quel complesso equilibrio tra un partito nato nazionale e tale rimasto come Fratelli d’Italia e uno come la Lega che lo è diventato in corsa per necessità. O forse opportunità.

In fin dei conti aveva capito tutto Silvio Berlusconi nel 1994 quando aveva messo in pista un’alleanza a due velocità per Forza Italia: con la Lega al Nord e l’allora Alleanza Nazionale a Sud e vincendo pure le elezioni. Peccato che dopo una decina di giorni proprio dal pratone di Pontida (un’autentica invenzione di Umberto Bossi) arrivi il primo altolà del senatùr che conia così a braccio il termine «Berluskaiser» e minaccia di non fargli mangiare il panettone se non ci sarà il federalismo. A giugno poi in un’insolita replica del raduno arrivano le rassicurazioni del caso, peccato che a dicembre la Lega stacchi davvero la spina al Berlusconi I. Un autentico caso di schizofrenia politica ma molto apprezzato dai duri e puri del movimento, quelli che in genere occupavano la prima fila del raduno in ogni modo spesso con mise abbastanza colorite e fantasiose. Sono sempre di meno perché i tempi passano e i toni comunque cambiano.

La Lega Lombarda degli albori per esempio era assolutamente contro Le Pen padre definito semplicemente «fascista» e «i movimenti autonomisti sono invece l’antitesi del fascismo». Quindi (parola di manifesto, una specialità della casa di quei tempi, fine anni ‘80) «paragonare la Lega al lepenismo è un falso perché si tratta di movimenti con finalità diametralmente opposte». Al punto tale che oggi a Pontida sul palco ci sarà Marine Le Pen: vero che le colpe dei padri non ricadono sui figli, ma la mossa è di quelle ardite. Si potrebbe dire senza ritorno, ma in questi anni la Lega ci ha abituato a parecchi cambi in corsa: di certo va nella direzione di una destra nazionalista, sovranista e populista. Ma soprattutto antieuropeista, un tratto fondamentale che la Lega ha mantenuto in questi quasi 35 anni tra barricate e governo. Con tutti i distinguo del caso, per carità, ma se c’è un fil rouge (un tempo era verde, ma anche qui i tempi sono cambiati) che unisce Bossi nelle sue varie fasi a Salvini è proprio questo. Ed è su questo tema che, nonostante le perplessità (non pochissime) di quei militanti che temono un’eccessiva deriva destrorsa, la presenza della francese riscuoterà successo viste le sue pozioni anti Bruxelles. Ça va sans dire.

Del resto quando si oscilla sugli estremismi un nemico politico (l’Europa, le banche, la Sinistra, i poteri forti, quasi in loop…) è quasi necessario, se condiviso ancora meglio. Quasi una costante dei raduni del pratone, equamente divisi tra proclami spesso velleitari e nemici sempre diversi sui quali scaricare la responsabilità di risultati politici comunque sotto le aspettative dei leghisti della prima ora. Quelli che aspettavano come Santa Lucia Venezia e la festa con tanto di ampolla delle sorgenti del Po, che si celebrava proprio in questi giorni settembrini. Trapassato remoto padano. Eppure nonostante un cammino a tratti sconnesso, passato da qualche autentica sparata del senatùr (le sue ricostruzioni storico politiche erano a tratti incredibili) alla quasi poesia dei barbari sognanti di Roberto Maroni nella fase post ramazze fino alla deriva nazionalista di Salvini, il popolo leghista è sempre lì sul pratone, se non convintissimo comunque bellicoso: i «duri e puri» veneti con i loro vessilli col Leone di San Marco ora incredibilmente vicini a quelli della Trinacria e altre rappresentanze centromeridionali, i lombardi con il loro Alberto da Giussano quasi d’antan e il solito tocco di folclore qua e là. Pronti a una nuova sterzata, questa volta verso destra: «À la guerre comme à la guerre» per insediare la leadership meloniana, rischiando di perdere qualche voto moderato. Ma con la certezza quasi sanremese che Pontida è Pontida, quindi ci sarà anche l’anno prossimo. Se necessario con un nuovo nemico, ma anche uno vecchio va comunque sempre bene.

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