L’incontro del disgelo fra Roma e Bruxelles

Il commento. Le fonti ufficiose di palazzo Chigi hanno lavorato ieri pomeriggio per far sapere che l’incontro a palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in vista del Consiglio del 9 febbraio, è andato non bene, ma benissimo. Facendo la tara alla inevitabile propaganda degli uffici stampa, si può però affermare che quello di ieri è stato certamente il colloquio «del disgelo» tra le due signore della politica internazionale.

Ricorderete che Meloni, appena giurato, volò a Bruxelles per incontrare i vertici Ue e rassicurarli sul fatto che a Roma «non erano arrivati i marziani a comandare», piuttosto persone ragionevoli ancorché con le loro idee. All’epoca si disse che le cose erano andate benino perché era ancora forte il ricordo dell’infelicissima frase da comizio pronunciata da Meloni durante la campagna elettorale: «All’Europa facciamo sapere che la pacchia è finita» intendendo con ciò che a palazzo Chigi finalmente era arrivato qualcuno capace di battere i pugni sul tavolo e di far valere finalmente i diritti degli italiani. Parole che, a urne chiuse e a governo fatto, in quel piovoso pomeriggio brussellese non potevano non pesare.

Adesso tanta acqua è passata sotto i ponti, Giorgia Meloni ha cominciato a cimentarsi con l’ardua prova del governo, ha potuto saggiare le durezze dei partner europei (vedi Macron nella questione migranti) ma anche gli egoismi dei «sovranisti» dell’Unione – per esempio la Svezia, presidente di turno, cocciutamente contraria a qualunque concessione al fronte mediterraneo della Ue – e quindi ora è molto più attrezzata per una trattativa complessiva che per l’Italia parte sempre dallo stesso punto: la fragilità della nostra situazione finanziaria.

In ogni caso ieri con von der Leyen si è finalmente discusso della possibilità di modificare molti punti del Pnrr: se una proroga oltre il 2026 per la messa a terra delle opere è abbastanza difficile da ottenere, è invece a portata di mano la riformulazione di quella parte del dossier che va a toccare i rincari dei prezzi che rischiano di mandare deserti i bandi per contratti dalle remunerazioni ormai insufficienti. Nel frattempo Roma si è vista riconoscere una quota di 9 miliardi per il programma di RePower EU, il piano che serve per risparmiare energia, produrre energia pulita, diversificare il nostro approvvigionamento energetico. Sulla questione migranti invece la strada è più in salita: l’Italia non può non riconoscere che la priorità è salvare chi in mare rischia la vita ma nello stesso tempo insiste per una politica che agevoli i rimpatri (e su questo la trattativa con i Paesi d’origine è abbastanza avanti) e chiede che ci sia maggiore corresponsabilità nei ricollocamenti dei migranti, punto sul quale invece le cose sono decisamente in alto mare (e a questo proposito abbiamo già riferito la posizione svedese).

Terza questione – la prima in realtà, dell’agenda dell’incontro di palazzo Chigi – l’aiuto all’Ucraina: siamo alla vigilia della firma della dichiarazione congiunta tra la Nato e la Ue per il sostegno al Paese invaso dall’Armata di Mosca e l’Italia non si tira indietro anche se deve superare diverse perplessità sull’invio di armi molto sofisticate (difesa aerea) che serpeggiano sia tra gli alti gradi delle nostre Forze Armate sia soprattutto tra i parlamentari della maggioranza che per certi aspetti si trovano d’accordo con il no risoluto che arriva da un pezzo di opposizione. Nulla, tuttavia, che Giorgia Meloni non sia in grado di superare politicamente: questa almeno è stata l’assicurazione data a von der Leyen poco prima di mostrarsi sorridente a fotografi e cineoperatori.

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