Liste pronte, i partiti e le zone di conforto

ITALIA. Fatte le liste, scatta la polemica. Tranne due, tutti i leader si candidano al Parlamento europeo. E di questi, ce n’è uno solo, Renzi, a promettere che si siederà sulla poltrona di Bruxelles e non resterà a Roma.

I due che restano fuori gara sono Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Entrambi hanno problemi di sondaggi sulla tenuta elettorale dei rispettivi partiti e, grazie al comportamento altrui, si sono ricavati una «zona confortevole» per distinguersi. Ma tra i due solo Conte sta utilizzando polemicamente l’argomento: tutte le dichiarazioni del M5S e della stampa ad esso affine usano la parola «truffa» accusando di imbrogliare gli elettori sia i «nemici» Meloni, Tajani, Calenda, Renzi che la molto presunta alleata Elly Schlein.

In realtà, in nessun Paese dell’Unione succede una cosa simile. Questo comporta che per noi le elezioni di giugno avranno soprattutto un carattere interno. Cioè: siccome alle Europee si vota con la proporzionale e le preferenze, e quindi il test «pesa» ogni partito e ogni candidato, la votazione serve a stabilire i futuri rapporti politici.

Nel centrodestra Giorgia Meloni si candida in tutte le circoscrizioni perché vuole consolidare, a metà legislatura, la sua leadership sugli alleati. E soprattutto sulla Lega. La sua presenza, supportata da una efficace campagna di comunicazione («scrivete Giorgia») porterà voti in più alle liste di Fratelli d’Italia con l’obiettivo di rivedere quel 30% tesaurizzato nella fase d’oro d’avvio del governo in carica. Si dice, ma una pura supposizione, che Meloni dopo le Europee voglia, sulla base del voto, procedere ad un rimpasto delle poltrone ministeriali e delle cariche di sottogoverno. Si sa che il problema fondamentale per FdI è la Lega di Matteo Salvini. Il quale risponde alla sfida della sua potente alleata-concorrente in due modi: primo, sottraendosi personalmente ad una conta che lo mostrerebbe debole nei confronti della premier. Secondo, candidando un potenziale jolly, e cioè il generale Roberto Vannacci che potrebbe fare il pieno di consensi aiutando dunque Salvini a reggere il confronto con la Meloni e a resistere ai malumori che dal Carroccio si levano.

Tanto è importante il ruolo del generale che Salvini ha ignorato tutte le dichiarazioni di dirigenti leghisti che promettono di non votare Vannacci sostenendo che «non è un leghista» e che la Lega non è di destra quanto lui. L’ultimo a prendere le distanze è stato il popolarissimo governatore del Veneto Luca Zaia: «Io voterò solo miei corregionali» ha dichiarato. Vedremo se l’azzardo di Salvini riuscirà ancora una volta a mettere a tacere i mugugni dei compagni di partito salvando la segreteria. Ma c’è anche Antonio Tajani che a sua volta sfida Salvini: il ministro degli Esteri vuole soprattutto riconquistare il secondo posto nella graduatoria del centrodestra superando la Lega e così ponendosi come primo interlocutore di Giorgia Meloni.

Quanto alle opposizioni, Elly Schlein si candida anche contro il parere delle correnti interne e del gruppo di eurodeputati uscenti. Le è stato negato di mettere il suo nome sotto il simbolo del Pd ma non per questo si è scoraggiata. Dal risultato suo personale e di partito si capirà se dopo giugno Elly Schlein potrà mantenere la guida dei democratici. Secondo alcuni a bordo campo si starebbe scaldando Paolo Gentiloni.

Anche Conte ha scelto la zona di conforto tenendosi fuori gara. Nelle ultime amministrative il M5S si è ridotto al lumicino, il rischio che a giugno accada più o meno la stessa cosa è molto alto. Conte dunque se la prende con la «truffa» degli altri leader in gioco ma evita di mettere la faccia sul risultato elettorale.

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