L’Italia arranca
La colpa è sua

Nella classifica dei Paesi meno corrotti la Svezia è al terzo posto. Si era candidata come sede per le Olimpiadi invernali 2026. Non aveva nulla da offrire se non la reputazione. Gli italiani hanno strutture già collaudate, un precedente nell’edizione 2006 con Torino e un sindaco di Milano già amministratore di successo in Expo 2015, ma hanno tremato sino all’ultimo.

L’urlo da stadio di Giuseppe Sala e del presidente del Veneto Luca Zaia al momento dell’annuncio ne dà testimonianza. Questa è l’ Italia. Tanta buona volontà, brillanti idee ma nelle classifiche internazionali di Transparency cinquanta posti sotto la Svezia. Una congiura internazionale? Rimaniamo all’Expo di quattro anni fa.

Si era partiti nel 2008 con il sindaco Letizia Moratti e sette anni dopo l’allora presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni concludeva il percorso con un disarmante: «Non ho la garanzia che il nostro padiglione sia pronto per il primo maggio».

Ora il Cio sembra abbia fatto tesoro della lezione ed ha messo nero su bianco che «in caso di non rispetto della Carta Olimpica delle regole e degli obblighi assunti può revocare in ogni momento l’organizzazione dei giochi». Ovviamente vi è la preoccupazione che qualcuno possa mettere mano agli appalti e spartirsi i 925 milioni di euro messi a disposizione.

Un timore espresso dal primo cittadino milanese e dal governatore veneto che vivono sul territorio e sanno come questo sia pervaso dalle mafie. L’ultima inchiesta in Emilia coinvolge anche il presidente del Consiglio comunale di Piacenza, a conferma di quanto sia ramificata anche al Nord la malavita organizzata. E non si può dire che il Paese non senta il problema. Le ultime elezioni hanno premiato i 5 Stelle come primo partito in nome della lotta alla corruzione. I risultati delle loro amministrazioni sono però deludenti. L’etica pubblica è il segno connotativo della tradizione occidentale. Ha segnato lo sviluppo di quei Paesi che hanno fatto negli ultimi secoli la storia d’Europa e l’hanno esportata nel mondo.

Grandi nazioni come la Cina sanno di poter competere con l’Occidente solo se riescono a contenere il tasso di corruzione e di malaffare ancora diffuso nella società. Il successo industriale è segnato dalle buone pratiche nella vita pubblica. Le aziende lo sanno: senza una buona ed efficiente amministrazione il sistema Paese non funziona. Se per una sentenza definitiva si deve attendere dieci anni è evidente che non vi è certezza giuridica.

Il Paese arranca e non si può dire che la colpa è degli altri. Se l’Italia è il pressappoco dell’Occidente è perché la sua conformazione la rende duale: da una parte una vocazione produttiva dall’altra una assistenziale e votata alla rendita. E negli ultimi anni è quest’ultima che sta prendendo il sopravvento a fronte di un calo della produttività di sistema.

Il bollettino statistico del Centro studi di Fondazione Ergo evidenzia che nel periodo 1995-2016 la produttività italiana è cresciuta dello 0,3%. Quindi il fenomeno è in atto ben prima dell’arrivo della moneta unica. La malavita organizzata è il sintomo di questa decadenza perché la mancata competitività espone le aziende e gli operatori economici a chi i capitali li ha, illegali ma li ha.

E la tentazione alla scorciatoia a volte è irresistibile. Se rimproveriamo l’Europa perché matrigna offriamo a chi ritarda lo sviluppo il pretesto per dire che le responsabilità sono al di là delle Alpi. Anche se i dati di Confindustria confermano il contrario: 30 miliardi in tre anni. La flessibilità di Bruxelles c’è. A Roma è cambiato solo lo spartito: prima si piangevano addosso, adesso la colpa è degli altri. Quando faremo i conti con noi stessi?

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