L’Iva salva col carcere
ai grandi evasori

Il 27 del mese si avvicina a grandi passi e i temi economici prendono il sopravvento nella vita del governo. Entro quella data, venerdì, il Tesoro dovrà presentare la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il primo atto formale dell’iter che condurrà all’approvazione della legge di Bilancio 2020 a dicembre. Con la nota la maggioranza giallo rossa comincerà a dirci come intende muoversi, fornendo i macro-numeri della finanza pubblica. E subito impatterà i 23 miliardi che occorre trovare per impedire l’aumento automatico dell’Iva che sarebbe, stando al parere di tutti, una autentica mazzata sui consumi in questa fase di flessione del Pil. Dunque si è subito aperto il tema fiscale.

Il primo impegno è appunto evitare che l’Iva aumenti ma naturalmente questa è una azione che, se ha successo, il cittadino neanche avverte. Viceversa l’elettorato si aspetta che le tasse diminuiscano. E che si concretizzi quella riforma del cuneo fiscale che nelle intenzioni dovrebbe risolversi tutta a vantaggio del lavoratore piuttosto che delle imprese. Al contrario, i primi messaggi che sono giunti all’elettorato dai vari ministri parlavano di tasse nuove o di tasse che aumentano.

È partito lancia in resta il ministro dell’Istruzione Fioramonti con la sua richiesta di finanziare l’aumento di stipendio degli insegnanti e altre spese per investimenti pari a tre miliardi con una serie di tasse sulle merendine, le bevande gassate e i viaggi aerei. Di seguito il ministro dell’Ambiente Costa, presentando il decreto di misure green (che però ancora non approda in Consiglio dei Ministri) propone di annullare le agevolazioni fiscali per i carburanti usati dagli autotrasportatori e dagli agricoltori. Conte, nel suo giro ecumenico presso partiti di destra e di sinistra e presso i sindacati ha dichiarato di appoggiare le richieste dei due capi-dicastero. A quel punto Luigi Di Maio si è immaginato le autostrade bloccate da camionisti e Coldiretti con le bandiere della Lega a dare man forte, e ha sentito i fischi delle assemblee degli imprenditori. Per questo il capo pentastellato ha intimato via Facebook il «fermi tutti». Le tasse vanno diminuite, non il contrario ha ordinato al terzetto ministeriale facendo pesare la propria carica politica: «Il governo sta in piedi perché lo vuole il M5S» ha scritto incurante dei voti pur indispensabili del Pd e financo di LeU. Conte ha capito la solfa e si è immediatamente adeguato. E Di Maio, per evitare che i giornalisti inzuppasero il pane sulla lite incipiente, ha trascinato Conte appena arrivato a New York nella hall dell’albergo per rilasciare dichiarazioni distensive insieme. «Nessun attrito» ha detto il presidente del Consiglio nell’inconsueta mise di una felpa blu. Cionondimeno da fuori le mura, Salvini continuava comunque a cannoneggiare il «governo abusivo» pronto a «mettere nuove tasse. Ma noi – giurava - non li faremo uscire dal Palazzo se ci provano». Del resto una mezza rivolta contro Conte c’era stata anche tra i grillini attutita però dalla promessa di incrudelire le pene per i grandi evasori, misura da sempre presente nell’ideologia grillina delle «manette a chi evade». Questa volta però a dissentire, sia pure senza fare troppo chiasso, è stato il Pd che ha mantenuto un silenzio di gelo. Era stato invece Renzi a farsi sentire: «Facciano quel che vogliono, ha detto, ma il governo resta in piedi se tiene ferma l’Iva».

Già si vede dunque la tenaglia entro cui Conte e il neo ministro di via XX settembre Gualtieri si dovranno muovere nei prossimi tre mesi: da una parte le promesse elettorali, come sempre molto generose, dall’altra i vincoli di Bilancio e le promesse fatte a Bruxelles. Sempre sotto il tiro dei cannoni salvinian-meloniani (e renziani, naturalmente).

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