Ma adesso il calcio
guarisca se stesso

Sarebbe stata, molto probabilmente, la cura che avrebbe ammazzato l’ammalato. Tolti di mezzo questi stregoni, il calcio però resta com’era prima: dipendente dai soldi ormai in modo tossico, al punto da aver pensato che piuttosto che fossero le squadre ad adattarsi, curandosi, fosse più semplice e più redditizio adattare tutto il sistema, per averne di più, e ancora di più. La Super Lega era questa: una sorta di metadone cash, un velo miliardario sui guasti di un sistema che, non lo vede solo chi non vuol vederlo, fatica ormai a stare in piedi. Era sbagliata la cura pensata dai ribelli della Super Lega: più soldi, per pochi. Ma va ribadito: è sbagliata anche la cura praticata negli ultimi decenni, e cioè che per fare più soldi occorre giocare sempre di più. Nuove competizioni, sempre più abnormi. Anche a costo di inventarne di nuove, dal fascino prossimo allo zero. Il calcio si mette a posto giocando il giusto, senza andare in overdose.

Il calcio si cura con l’equilibrio, riducendo il divario tra le grandissime e il resto del mondo. Altrimenti continueremo a vedere campionati mediocri, dominati da poche squadre, sempre quelle, al netto di qualche sorpresa (vedi alla voce Leicester e Atalanta). Il calcio si cura con gestioni oculate, spendendo quel che si può. Il calcio si cura se una società con un debito che rasenta il miliardo – il Tottenham – non paga 17,5 milioni all’anno al suo allenatore. Il calcio si cura se le società non mettono toppe di cartapesta ai bilanci sopravvalutando giocatori che in carriera varranno più milioni delle partite che giocheranno in categorie decenti.

Il calcio si cura, infine, se allenatori e giocatori non chiedono, a intervalli regolari, ritocchi al rialzo dei loro ingaggi. Se non fanno giochetti per minacciare di andarsene se il capriccio non viene accontentato. Se non giocano fino all’età della pensione pur di non staccarsi dalla mammella del contante.

Ha fatto piacere a tutti sentire il presidente della Uefa Ceferin citare l’Atalanta come esempio virtuoso. Ma c’è da chiedersi cosa abbia fatto davvero la Uefa, finora, per aggiustare il pallone. Uefa che peraltro, in risposta alla cura a base di denaro proposta dalla Super Lega, ha proposto giusto l’altro giorno la consueta cura a base di più partite, con una formula della nuova Champions che il problema non lo potrà risolvere, ma solo contribuire a peggiorare. Ovvio che ora le ribelli vengano riaccolte, perché ci sono contratti televisivi che perderebbero valore se dovessero essere rinegoziati sulla base dell’assenza di squadre che, simpatiche o meno che siano le loro dirigenze, sono il meglio del calcio mondiale. E se vogliamo un calcio bello, non possono non esserci. Però ora, smaltito il rischio (anche grazie, paradosso, a Boris Johnson, che dopo aver tolto un pezzo all’Europa di fatto le ha restituito un pezzo di calcio), si dovrà fare sul serio. Il fair play finanziario, citando Infantino, è o non è. Se è, lo sia per tutti, cosicché i bilanci si risanino, costi quel che costi. Lo strapotere degli intermediari, sanguisughe insaziabili, va limitato. Gli occhi sulle valutazioni di mercato vanno aperti.

Un orecchio in più alla gente, last but not least, va dato. Sono tifosi e portatori di passione, non solo di portafogli da sgonfiare. A proposito. Se il calcio è uscito in 48 ore da questa sorta di grottesca messa in scena, lo si deve anche alle tifoserie inglesi. «Shame on you»: quel cartellone appeso ad Anfield ha fatto il giro del mondo, e qualcosa ha smosso. Forse non è un caso che la rivolta sia partita dall’Inghilterra, dove si gioca il campionato più contendibile. Resta da capire cosa pensassero le tifoserie delle tre italiane coinvolte. Che quando c’è da farsi sentire per difendere se stesse, sono sempre in prima fila e sanno come si fa. A questo giro hanno fatto la figura delle leggendarie temperature di Potenza: non pervenute.

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