Merkel commossa
per i «suoi» morti

Può non piacere ed è legittimo contestare le sue decisioni che hanno ricadute anche sull’Italia. Ma è indiscutibile che Angela Merkel sia uno dei rarissimi (se non l’unica) veri leader politici dell’Europa. Non sarebbe al potere da 15 anni nell’esigente Germania, guidando anche grandi coalizioni (in Italia sono chiamate inciuci) formate dal suo partito, Cdu (Unione cristiano-democratica), il consociato Csu (Unione cristiano-sociale) e l’Spd (Partito socialdemocratico). Riflessiva e temporeggiatrice, nata e forgiatasi nella Germania dell’Est, la Cancelliera ha la dote che manca a molti suoi colleghi alla guida di altri Stati: non guardare soprattutto alla ricerca del consenso ma prendere anche decisioni impopolari con coscienza. Come accadde nell’agosto del 2015: il Medio Oriente era in esplosione e centinaia di migliaia di migranti scappavano dalle terre insanguinate risalendo l’Europa attraverso la cosiddetta rotta balcanica.

Merkel decise di dare ospitalità in Germania a tutti quelli che provenivano dalla Siria devastata dalla guerra: fra il 2015 e il 2016 arrivarono circa 1,2 milioni di richiedenti asilo. Oggi, a distanza di cinque anni, più del 60% ha avuto almeno un lavoro e il 75% risiede in un’abitazione privata. La Cancelliera sapeva che quella decisione avrebbe eroso parte del suo elettorato e infatti crebbe il consenso per l’estrema destra. Ma il 24 settembre 2017 fu rieletta per il quarto mandato consecutivo.

Mercoledì scorso Merkel ha scritto un altro pezzo di storia tedesca. Intervenendo al Bundestag (Parlamento) per il dibattito generale sul Bilancio, è stata attaccata dall’estrema destra nazionalista dell’AfD sulle politiche anti Covid («Lei rinchiude le persone e distrugge interi settori dell’economia») ma ha tirato dritto, chiedendo nuovamente ai Länder, responsabili della Sanità, un lockdown più severo di quello in vigore. È a questo punto che la Cancelliera, con la voce rotta dalla commozione e un tono aulico, ha detto: «So quanto è duro, quanto amore ci sia quando aprono i mercatini di Natale. Mi dispiace e fa veramente male al cuore. Ma se il prezzo che dobbiamo pagare sono 590 morti in un giorno, per me è inaccettabile e dobbiamo agire». Anche commuoversi pubblicamente, senza vergogna, per le tragedie che colpiscono il proprio popolo è dote di un vero statista.

Nei talk show italiani, politici e opinionisti privi di curriculum adeguati battibeccano sui provvedimenti governativi o regionali: manca completamente il senso della tragedia, anche in giorni in cui morivano per il coronavirus fino a 900 persone (a ieri il totale dei decessi nel nostro Paese è di 61.739, un numero enorme). E quest’estate quanti nostri leader e «tuttologi» hanno dato ascolto agli esperti sul possibile arrivo di una seconda ondata con l’autunno? Enrico Bucci, professore di Biologia alla Temple University di Philadelphia, ha ricordato che «il vero errore è stato intervenire tardi: con una fase esponenziale visibile nella seconda metà di agosto si sarebbero dovute prendere contromisure adeguate già il 15 settembre. Ormai lo sappiamo: ogni settimana di anticipo del lockdown, anche in forma leggera, permette di farlo durare tre settimane in meno. E di salvare molte vite umane». E invece ad agosto su Facebook circolava una foto del filosofo sovranista Paolo Becchi con la scritta «630 morti al giorno per infarti, 493 di cancro, 6 di Covid ma per il Fatto Quotidiano ci aspetta un Ferragosto col morbo», condivisa anche sulla pagina dell’ex ministro Matteo Salvini. Proprio in quei giorni si ponevano le premesse (assembramenti in spiagge, discoteche e in alcune località turistiche, rifiuto della mascherina) per il secondo passaggio della tragedia, non per colpa dei giornali. E i paragoni con la mortalità di altre malattie per un riduzionismo del coronavirus sono di cattivo gusto. Anche una sola vittima di Covid sarebbe troppo, per le sofferenze e il dolore che provocano ogni patologia nelle forme gravi e ogni lutto. Nella Bibbia e nella Torah ebraica sta scritto che chi salva una vita salva il mondo intero. È quello che fanno medici e infermieri, senza conteggiare quale male sia più pernicioso ma prendendosi a cuore ogni singolo paziente.

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