Mes, il no alla ratifica una moneta di scambio

IL FONDO UE. La vera ragione della contrarietà del Governo alla ratifica del Mes non è il timore dei suoi effetti ma potrebbe essere l’intento di utilizzarla in chiave tattica, come moneta di scambio su altri tavoli europei.

Ricordiamo i punti essenziali. Primo: il Mes è uno strumento prudenziale di salvaguardia finanziaria di Paesi dell’Unione monetaria europea che si trovassero in difficoltà. Oggi non sono alle viste crisi di questo tipo, ma è giusto predisporre gli strumenti di intervento prima del manifestarsi delle crisi: è nella natura degli strumenti di prevenzione.

Secondo: il ricorso al Mes è del tutto volontario ma, se richiesto, prevede delle «condizionalità», termine gergale che non esiste nella lingua italiana, che invece conosce la parola condizione con il medesimo significato. Vuol dire che lo Stato che chiede aiuto dovrà conformarsi a una certa condotta sulla politica fiscale o adottare determinate riforme. È una forma di interferenza, di limitazione della sovranità di un Paese? Sì, ma è del tutto normale che chi viene in soccorso finanziario esiga non tanto delle cautele in termini di rimborso ma piuttosto di rimozione delle cause che hanno portato alla soglia del dissesto. Funziona così anche il Pnrr che lega il rilascio di aiuti e finanziamenti all’attuazione di alcune riforme.

Terzo: il Mes del 2023 ha una finalità in più rispetto alla versione del 2012: servire da backstop (rete di protezione) per i salvataggi bancari in caso di insufficienza delle risorse nazionali. Significa che, qualora ci fosse una grave crisi bancaria e un Paese non riuscisse a finanziare gli interventi di emergenza per arrestare il problema, potrebbe fare ricorso al Mes e ottenere un aiuto. Anche qui non si vedono problemi particolari all’orizzonte e, come già detto, è meglio allestire le difese prima di un pericolo acuto.

Va detto che la necessità di questo strumento deriva anche dalla lentezza con cui si va completando l’Unione bancaria europea. Qui a frenare sono i tedeschi e i loro amici dei Paesi cosiddetti frugali (altra espressione gergale alquanto bizzarra) che temono di dover pagare di tasca loro per i guai dei Paesi ad alto debito come il nostro.

Quarto: l’Italia ha sottoscritto il 18% dei 704 miliardi di capitale del Mes, pari a 125 miliardi, di cui ne ha versati 14 (naturalmente di pari passo con gli altri Paesi). In virtù della sua quota superiore al 15% ha il diritto di veto anche in caso di decisioni d’urgenza. Può essere il timore di questo ingente impegno finanziario il motivo della contrarietà? Astrattamente sì, è una cifra enorme, peraltro necessaria solo in caso di necessità estreme. Ma non ci è stato detto dal Governo che il problema è questo e comunque l’impegno finanziario è già stato preso.

Tirando le somme: il Mes è uno strumento utile in caso di future, e al momento improbabili, crisi del debito pubblico o delle banche (ricordiamo bene come i due rischi si alimentino vicendevolmente). Non è uno strumento dannoso o pericoloso per chi non vi faccia ricorso. Certo, chi è costretto a chiederne il supporto dovrà subire qualche prescrizione sgradevole, ma è del tutto normale che sia così: non puoi avere finanziamenti per il salvataggio e continuare con una politica fiscale dissoluta. Alcuni partiti dell’attuale maggioranza (e anche dell’opposizione) in passato lo avversarono e oggi fanno fatica a fare marcia indietro.

A meno che non serva per ottenere dall’Europa qualche concessione su argomenti diversi su cui si sta trattando. Come per esempio la riforma del Patto di stabilità, argomento strettamente connesso al Mes. A pensar male si fa peccato. Si indovinerà anche questa volta?

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