Mes, Renzi e le urne
Il governo fibrilla

Le ultime uscite di Matteo Renzi sulla situazione del governo dicono bene quale sia il livello di tensione nella maggioranza. L’autunno alle porte porterà con sé la prova elettorale del 20 settembre (regionali più referendum confermativo della riforma costituzionale sul numero di deputati e senatori), l’incerta riapertura delle scuole, il momento della verità per la situazione delle aziende e, sopra tutto, le incognite di una nuova fase di pandemia che nessuno oggi si sente più di escludere. Il Governo dunque deve affrontare tutte queste prove proprio mentre è al lavoro sul progetto da presentare entro il 15 ottobre alla Commissione europea per cominciare ad ottenere i finanziamenti previsti dal Recovery Plan (209 miliardi) e contemporaneamente mentre elabora la legge di Stabilità che quest’anno sarà ovviamente assai più problematica in termini di previsione di deficit, di debito su Pil e di investimenti. Legge di stabilità che potrebbe essere diversa se Conte si decidesse a chiedere alla Commissione europea i 36 miliardi del Mes. Senza dimenticare che si è ormai aperta la delicatissima partita sulla riforma fiscale.

In tutto ciò il leader di Italia Viva, a capo di una formazione assai piccola in termini di consenso elettorale ma determinante negli equilibri parlamentari soprattutto al Senato, adombra un possibile cambio di timoniere a Palazzo Chigi tornando a fare il nome di Mario Draghi (ma davvero l’ex presidente Bce sarebbe disponibile?) e sfidando Conte a dimostrare di saper guidare la barca decidendo di chiedere i fondi del Mes nonostante la decisa opposizione del M5S che è pur sempre il partito che lo ha messo su quella poltrona.

Ma Conte, che non nasconde coi giornali l’irritazione verso Renzi, sul Mes dice che la posizione non cambia e rifiuta qualunque ipotesi di rimpasto (che poi sarebbe, secondo molti, il vero obiettivo dell’agitazione renziana: ottenere un ministero in più). Il rimpasto in realtà potrebbe essere una tentazione anche del Pd nel dopo-voto: non sarà un caso che ieri il capogruppo democratico al Senato Marcucci abbia sparato alzo zero contro la titolare della Pubblica istruzione, la grillina Azzolina, considerata una specie di Raggi in formato ministeriale; in altre parole: un’incapace. Il rischio di una riapertura-caos delle scuole in effetti incombe e certo non influisce positivamente sulla campagna elettorale nelle Regioni in cui si sta per votare.

Il timore del Pd è che il centrosinistra (che oggi governa quattro delle sei Regioni che vanno al voto) possa perdere la Puglia e le Marche e mantenere solo Toscana e Campania. Il rapporto di forza si potrebbe rovesciare a favore del centrodestra che addirittura – alcuni temono – potrebbe fare cappotto conquistando anche la Toscana.

In quest’ultimo caso ci sarebbe un terremoto che coinvolgerebbe la segreteria Zingaretti ma comunque anche la perdita di due Regioni porterebbe ad un rimescolamento delle carte a livello di governo.

Inoltre un Pd così ferito non potrebbe più accettare il continuo rinvio dei grillini a procedere con la riforma elettorale proporzionale, a suo tempo promessa per ottenere il sì di Zingaretti alla riforma sul taglio dei parlamentari.

Come si vede un panorama estremamente complicato e foriero di grandi grattacapi. Tutte cose che non sembrano però per il momento preoccupare il M5S, convinto che l’esito del referendum sulla legge taglia-deputati, cavallo di battaglia pentastellata sin dall’inizio della legislatura, gli regalerà una grande vittoria, così schiacciante da oscurare i miserevoli risultati dei grillini nelle Regioni (prevedibilmente quasi tutti a una cifra).

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