Migrazioni di massa
la svolta di Draghi

Se dovessimo misurare la Russia dal suo prodotto interno lordo - circa 1.600 miliardi di dollari - dovremmo concludere che è più piccola dell’Italia. In politica estera non sempre contano i numeri. È determinante il ruolo dei leader. Non solo per la credibilità che esprimono ma anche per il senso di stabilità che proiettano sul Paese che rappresentano. Questo spiega perché attualmente la politica estera italiana goda di una felice congiuntura. Il personale diplomatico è migliorato negli anni e l’innesto di giovani leve sta dando i suoi frutti.

Ma anche i migliori collaboratori non esprimono il loro meglio se non vi è una linea politica chiara che indirizzi il loro lavoro. Sin dal primo giorno del governo Draghi è apparso a tutti evidente che si ritornava ai fondamentali: appartenenza europea e fedeltà atlantica. La novità sta nel fatto che questa volta è senza se e senza ma. Ma il cambio di rotta sta nell’aver colto con il ritiro americano dall’Afghanistan il tema cruciale che ne emerge: le migrazioni di massa. Tutti in Europa ne parlano ma i poi i governi si ritirano. Una situazione di stallo che Draghi ha preso di petto nell’ultima conferenza stampa con un chiaro riferimento a quegli Stati europei che immediatamente dopo il crollo del governo istituzionale di Kabul si sono negati a qualsiasi aiuto ai fuoriusciti del Paese asiatico.

A dimostrazione che quelle non erano parole al vento il presidente del Consiglio italiano è volato a Marsiglia per incontrare il suo omologo francese Emmanuel Macron. Al contempo il ministro degli esteri Luigi Di Maio è stato spedito nei Paesi limitrofi all’Afghanistan con l’intento preciso di trattare con loro il flusso dei profughi che vogliono lasciare il territorio afghano. Il che vuol dire che andranno versati fondi e fornito appoggio diplomatico ai vari Paesi dell’area affinché si facciano carico dei fuggitivi. I governi europei temono le loro opinioni pubbliche e rimuovono il tema. La Germania memore della sua esperienza del 2015, quando si ritrovò alle porte di casa, improvvisamente un milione di rifugiati siriani, ha per prima preso contatto con i Paesi della regione e definito la sua presenza nei termini a suo tempo concordati con Ankara.

L’Unione europea versa tre miliardi al turco Erdogan e l’autocrate si impegna a trattenerli e gestirli sul proprio territorio. Una soluzione di compromesso che tampona ma non risolve. L’impegno di Draghi unitamente a Macron è di farne il tema centrale della futura politica estera dell’Unione. Per ovviare alle resistenze dei Paesi dell’Europa orientale è necessario che si formi una salda alleanza e visione comune fra l’Europa continentale e il Sud Europa. È questo il senso dell’operare del governo italiano. Il nuovo esecutivo tedesco del dopo Merkel nascerà con difficoltà. La Cdu perde voti e sarà necessaria un’ampia coalizione. Non prima della primavera 2022 sarà possibile avere un interlocutore certo a Berlino. Troppo tempo per rimanere inerti. Il ruolo dell’Unione europea nel contesto internazionale è decisivo per gli equilibri del mondo globalizzato.

Dopo gli Stati Uniti l’ Unione europea dispone del più alto prodotto interno lordo del pianeta ma la sua forza politica è nulla, come si è dimostrato nella crisi afghana. L’impotenza di chi non ha politica estera e una forza di difesa comune ma soprattutto una leadership riconoscibile e rispettata. L’autorevolezza senza capacità di difesa non basta. Conta la ricchezza ma contano anche gli armamenti. Ovvero la capacità di poterne fare uso, anche senza usarli. Perché la differenza sta qui. L’America ha mostrato i suoi limiti. L’Europa deve essere democratica per essere anche in grado di controllare l’industria militare in chiave distensiva.

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