Nella scuola non c’è nulla
di regolare e ordinato

Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato, nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica è il titolo del Decreto convertito in Legge il 6 giugno scorso. Due considerazioni sorgono immediate prima ancora di entrare nel merito ad alcuni aspetti della legge stessa: la prima trova pungolo da quella parte del titolo in cui si annuncia la «regolare» conclusione di un anno scolastico che ha visto accadere l’esatto contrario della regola, vale a dire la chiusura totale, su tutto il territorio nazionale, dei luoghi istituzionalmente dedicati all’educazione e all’istruzione; questi diritti costituzionali, improvvisamente vacillanti, sono stati affidati, nel giro di qualche giorno, in tutta l’Italia, ad una didattica a distanza mai prima ipotizzata, pensata e praticata neanche con allievi adolescenti, figurarsi con bambini della scuola dell’infanzia e primaria.

Dunque, di fatto, affidati ad un’inedita alleanza della scuola con quell’80% di genitori che ha procurato e gestito device, accompagnato e supportato lezioni e compiti, a volte minimali altre volte esorbitanti. C’è qualche cosa di definibile come «regolare» nella conclusione dei quattro mesi che la scuola italiana ha vissuto? E le scelte attuate (e sancite da questa legge) affinché gli scrutini e gli esami, comunque, si realizzino, possono forse dirsi «regolari» nel senso etimologico e non solo amministrativo del termine?

La seconda considerazione è suggerita da quell’«ordinato» avvio del prossimo anno scolastico; sorge il dubbio che il tranquillizzante aggettivo sia stato scelto dal legislatore pensando che, comunque sia andata quest’anno, finiti gli esami (comunque fatti!) del primo e del secondo ciclo, ammessi alle classi successive (comunque sia!), la scuola italiana «chiude», va in vacanza e riapre l’1 settembre, tutta insieme, da Nord a Sud, dai 3 ai 18 anni. Come riapre? Si vedrà, lo diranno le autorità sanitarie e in base a questo si deciderà come organizzare un «ordinato» rientro in classe. Ci sarà da gestire un turnover di qualche centinaia di migliaia di supplenti e docenti trasferiti in questi mesi, ma è d’obbligo pensare che sarà gestione ordinata. Mi torna in mente l’idea di una scuola definita, tanti anni fa, irrimediabilmente «ingessata», incapace di confrontarsi con la realtà, meglio, con la realtà stravolgente che stiamo vivendo, realtà che reclama a gran voce uno scatto educativo inusuale, con azioni nuove, inedite; un esempio tra mille avrebbe potuto essere la messa in campo estiva (sì, estiva!) di attività formative capaci di permettere esperienze relazionali positive e rigeneranti, indispensabili per ricucire le lacerazioni vissute da bambini, ragazzi e adolescenti in questi mesi. E non occorre scomodare la sociologia per capire che, non avendolo neanche pensato, chi pagherà il prezzo più alto di questo ulteriore «vuoto» educativo saranno le fasce più deboli.

In sintesi, mi pare che l’utilizzo maldestro di questi aggettivi riveli, ancora una volta, la calamitosa prospettiva, da più parti segnalata, che porta a non riconoscere nella drammatica situazione che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere un’occasione preziosa di cambiamento profondo del nostro sistema educativo e d’istruzione, di ripensamento istituzionale, condiviso e programmatico che possa portare il nostro Paese fuori dalle secche di una scuola centralisticamente inefficace, incapace di valorizzare e portare a sistema le eccellenze che pure, nonostante tutto, ci sono e a volte brillano incoraggianti. In questo senso mi pare che non ci siano task force o gruppi di esperti, più o meno schierati, da mettere in campo: occorre che i responsabili istituzionali (maggioranza e minoranza in carica sono un dettaglio rispetto ai tempi d’attuazione di un progetto che non può procedere o fermarsi a seconda del colore della legislatura) di scuola, università, economia, famiglia, servizi sociali, tutti coloro che, a pieno e diverso titolo, sono interessati alla formazione migliore possibile dei nostri giovani, individuino e condividano qual è la strada da intraprendere e farlo. Subito e per tutto il tempo necessario, senza ondivagazioni.

Ondivagazioni che da troppo tempo fanno male alla scuola italiana e che ritornano, implacabili, in alcuni aspetti di questa legge sulle Misure urgenti e, a titolo di esempio, indichiamo: i voti alla scuola primaria cambiano, titolano i giornali. Già, deve essere sembrata una «misura urgente» stabilire che nel prossimo anno scolastico nella scuola primaria non si utilizzeranno più voti decimali, ma solo giudizi descrittivi; poco importa che la riflessione scientifica nazionale e internazionale degli ultimi trent’anni ci abbia insegnato che la valutazione dei risultati di apprendimento, a qualunque età, è complessa e, in quanto tale, necessita di entrambe le dimensioni, quantitativa e qualitativa, sapientemente coordinate. Il problema non si risolve eliminando l’una o l’altra, ma introducendo azioni formative di sistema che accompagnino i docenti a fare della valutazione l’agire formativo per eccellenza, quale che sia lo strumento. Si risolve anche assumendo decisioni legislative fondate e condivise rispetto alla formazione iniziale dei docenti e alla loro assunzione; e qui, nella recente legge, l’ondivagare trova conferma nel suo strumento per eccellenza, la creazione di un Tavolo di confronto sui percorsi abilitanti futuri! Capire che cosa sia successo e perché nella formazione iniziale dei docenti e nella loro assunzione in servizio sembra non preoccupare; capire perché un concorso ministeriale, a quiz o tradizionalmente inteso, sia strumento non risolutivo nei confronti della piaga del precariato della scuola, non sembra proprio interessare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA