Olocausto, il pericoloso
orgoglio polacco

Non ci si può credere ma succede in Europa. La Polonia medita di bloccare le visite degli studenti israeliani ai campi di sterminio nazista posti sul suo territorio, da Treblinka ad Auschwitz-Birkenau. La ragione? Stando alle parole di Pawel Jablonski, vice ministro degli Esteri, quei viaggi «non si svolgono nella giusta maniera. A volte instillano odio per la Polonia nelle menti dei giovani israeliani… Abbiamo a che fare con un sentimento anti-polacco in Israele e uno dei motivi è il modo in cui i giovani israeliani vengono educati e cresciuti». Il problema, in realtà, è ciò che si vuole instillare nella mente dei giovani polacchi. Da tempo, ormai, la maggioranza che governa il Paese, imperniata sul partito «Diritto e Giustizia», porta avanti una campagna di orgoglio nazionale che avrebbe la sua legittimità se, fin troppo spesso, non sfociasse in una riscrittura degli eventi tesa a fare della Polonia la semplice vittima di una Storia agita da altri. Nel 2018 è stata approvata una legge sull’Olocausto che in origine prevedeva addirittura fino a tre anni di prigione per chi avesse attribuito alla Polonia qualunque responsabilità nel genocidio degli ebrei.

È fin troppo chiaro che non fu colpa dei polacchi se i nazisti decisero di costruire i campi di sterminio sul loro territorio e che nessuna confusione può essere fatta tra la potenza hitleriana che aggredì e il Paese, la Polonia, che fu occupato con le armi. Altrettanto noto è che la Polonia produsse un eroico movimento di Resistenza e che migliaia furono i «giusti» polacchi che si adoperarono, spesso a costo della vita, per salvare l’esistenza ai loro connazionali ebrei. Non meno vero, però, è che la Polonia, che per tutto l’Ottocento fu un Paese multietnico e multinazionale e che arrivò ad avere il 10% della popolazione di origine ebraica, nel primo Novecento visse un processo di progressiva radicalizzazione che trovò sfogo proprio nella discriminazione degli ebrei.

E che durante la Seconda Guerra mondiale vi furono anche fenomeni di collaborazione con l’occupante nazista. I 3,5 milioni di ebrei polacchi furono sterminati al 90%.

Mezza Europa, in quegli anni, visse le stesse terribili contraddizioni. La Polonia, però, è l’unico Paese che, dopo la legge sull’Olocausto del 2018, ne ha varata un’altra, pochi giorni fa, che rende assai più difficile, se non impossibile, chiedere la restituzione dei beni confiscati dai nazisti (e dopo la guerra sequestrati dai comunisti), ovviamente in primo luogo ai danni degli ebrei. Non solo la Polonia non ha previsto alcuna corsia preferenziale per indennizzare le famiglie ebree, come hanno fatto altri Paesi europei, ma al contrario ha imposto un termine massimo di trent’anni per fare richiesta, tagliando così fuori un gran numero di potenziali «pretendenti».

Anche in questo caso le autorità polacche hanno giustificato il provvedimento con la necessità di bloccare abusi e frodi. Una pezza così peggiore del buco (agli abusi non dovrebbe pensare in automatico la magistratura?) da rendere sospette le intenzioni. E adesso la polemica sulle visite degli studenti ai campi di sterminio.

Insomma, c’è qualcosa che non funziona. E vien da chiedersi se i governanti polacchi si rendano conto di quanto il loro revisionismo nazionalista somigli, pur essendo di verso opposto, a quello russo che esalta la guerra vittoriosa di Stalin, da loro così detestato.

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