Pensioni, la riforma tra serietà e illusioni

Politica interna. Il Governo ha annunciato l’avvio di una riforma organica delle pensioni. Auguri. Metter mani alle pensioni è un’impresa titanica: occorre dimenticare la demagogia e usare realismo e cautela. Perché c’è di mezzo la vita delle persone e l’equilibrio dei conti pubblici.

Sia Dini nel 1995 (fine del retributivo) che Fornero nel 2012 (aggancio alla durata della vita, come vuol fare ora Macron già suscitando una tempesta in Francia), evitarono sconquassi nell’immediato. Dini distingueva tra un prima e un dopo riforma nell’ottica dei diritti acquisiti e la Fornero «avvertiva» oggi per domani che alla fine dell’età lavorativa ci sarebbe stata una proroga. Piccola per chi era vicino alla quiescenza, intera per chi non aveva cominciato a lavorare. Al netto del grave errore, di origine Inps, relativo agli esodati, almeno c’era un criterio oggettivo: l’età media degli italiani.

L’andata in pensione effettiva è oggi non di 67 anni come da tabella Fornero, bensì di circa 62 anni (65 in Ue), ma le polemiche strumentali spaventano immotivatamente chi teme per la propria pensione, mentre non si preoccupano i giovani, che non sanno che gli effetti riguardano soprattutto loro. Molto più dannose per i conti dello Stato e per il disordine del sistema sono state se mai le soluzioni «creative» di questi anni, a partire dal finto «superamento» della Fornero dei governi Conte, con limitate eccezioni che sono costate parecchio, mentre la maggior parte dei beneficiari è rimasta al lavoro evitando di «pagarsi» l’anticipo, di cui ci si scorda nei comizi. Il sovrapporsi a gogò di cerotti vari, per quietare le proteste sotto elezioni, hanno prodotto strumenti giusti e ingiusti senza un disegno organico: Ape social, lavori gravosi, fondi esubero per crisi aziendali (con anticipazioni privilegiate fino a 7 anni, vedi Alitalia), bonus Maroni, opzioni donna, precoci, salvaguardie ad hoc, e via dicendo. A pagare, sempre lnps: nel 2021, 30 miliardi di deficit, in diminuzione dai 39 dell’anno Covid, ma in aumento di 10 miliardi sul 2019.

Il Governo Meloni ci annuncia ora la riforma, ma intanto se l’è presa con la classe media negandole la rivalutazione Draghi, dopo un lungo blocco. Senza arrivare al Giuseppe Conte che ha fatto spettacolo contro le pensioni over 100mila portando a casa appena 120 milioni da 35mila pensionati che avevano strapagato tutta la vita contributi alti, la legge Giorgetti ha colpito tutti i trattamenti sopra i 35mila euro. In cambio, con questi tagli, si pagano 36 euro in più alle pensioni sociali.

L’ideona berlusconiana dei 1.000 euro, poi ridimensionata dai suoi alleati, sarebbe costata 27/36 miliardi ogni anno. Giusto aiutare gli ultimi, ma, come dice il super esperto Alberto Brambilla «è difficile credere che un quarto dei 16 milioni di pensionati, di cui più della metà autonomi, abbiano guadagnato nella loro vita redditi insufficienti a costituire una pensione che superi mediamente i 300 euro, tanto da dover essere integrata di 200 euro». Già, perché 7 milioni di pensionati su 16 non hanno mai pagato contributi (4 milioni) o solo in parte.

Con queste contraddizioni, serve davvero una riforma organica. La spesa previdenziale e del welfare assorbe il 52% della spesa pubblica (517 miliardi), producendo un disavanzo totale di 124 miliardi a carico della comunità. Nel calderone Inps si buttano insieme previdenza e assistenza, e quest’ultima cresce in parallelo perfetto con gli appuntamenti elettorali. Difficile quadrare i conti con gli occupati italiani che sono 10 punti sotto la media europea, quasi 20 sotto i grandi Paesi (Olanda: 80%), l’età media aumenta, il 79,8% dei contribuenti dichiara tra 0 e 29mila euro e versa il 27% di tutta l’Irpef. Tocca agli altri, quelli che pagano quasi tre quarti delle imposte, coprire il buco e provvedere alle altre necessità. Scuola, Università e ricerca, per esempio, richiedono 70 miliardi, poco più della metà del deficit previdenziale.

Dunque, auguri sinceri. Chi metterà mano ad un ginepraio come questo meriterà i voti degli italiani, ma bisognerà prima saper distinguere tra imbroglioni, imbonitori e coraggiosi capaci di andare controcorrente. Ci illudiamo?

© RIPRODUZIONE RISERVATA