Per fermare la strage indignarsi non basta

LAVORO. L’indignazione, prima di tutto.Ventuno morti da gennaio a oggi sono un tributo altissimo per Bergamo e provincia: statistiche macabre, che eravamo convinti di esserci lasciati alle spalle.

E invece il 2023 ci fa ripiombare indietro nel tempo e precipitare in fondo alle classifiche degli infortuni mortali sul lavoro (in termini assoluti, nessuna provincia lombarda ha fatto registrare lo stesso aumento rispetto al 2022 e al 2019).

L’indignazione: il presidente Sergio Mattarella, interprete finissimo della parte più nobile del sentimento popolare del nostro Paese, l’ha più volte evocata con parole di fuoco. Come all’indomani della strage di Brandizzo, quando disse che morire sul lavoro è un «oltraggio alla convivenza civile». E, più recentemente, in occasione della giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro: «Uno scandalo inaccettabile per un Paese civile, un fardello insopportabile per le nostre coscienze, soprattutto quando dietro agli incidenti si scopre la mancata o la non corretta applicazione di norme e procedure».E anche: «La sicurezza non è un costo, né tantomeno un lusso: ma un dovere cui corrisponde un diritto inalienabile di ogni persona». « Diritto inalienabile», un concetto che trascende la cittadinanza per abbracciare quello più profondo dell’umanità: la sicurezza sul lavoro è un valore che incrocia il senso stesso di essere uomini. Mentre ci indigniamo per le vittime dovremmo ricordarci, tutti, di quante volte i valori in gioco appaiono rovesciati e di come facilmente abdichiamo al nostro diritto alla sicurezza in nome di qualcosa di decisamente più effimero. Chiamiamolo carriera, stipendio, fatturato… il risultato non cambia.

Certo, un sistema di valori non si cambia solo con un percorso di formazione.Però l’indignazione generale è già una buona base di partenza. Insieme alla consapevolezza che il cambiamento passa dalla politica. Ancora Mattarella: «Occorre un impegno corale di istituzioni, aziende, sindacati, lavoratori, luoghi di formazione affinché si diffonda ovunque una vera cultura della prevenzione».

Da dove partire? In un articolo apparso sull’ultimo numero della rivista Left l’ex ministro del governo Prodi Cesare Damiano, da sempre in prima linea sul tema della sicurezza sul lavoro, ci ricorda innanzitutto che non siamo all’anno zero: negli anni Cinquanta i morti erano oltre il triplo rispetto a oggi.E poi sono stati introdotti interventi efficaci, come i bandi Isi (Interventi di sostegno alle imprese) destinati a investimenti sulla prevenzione (333 milioni di euro distribuiti nel 2022) oppure il meccanismo del bonus malus sui premi assicurativi per le aziende a infortuni zero. Fin qui tutto bene. Ma Damiano ricorda per esempio che l’Inail risparmia più di un miliardo all’anno, ma il guadagno è vincolato a tutela del debito pubblico, per cui inutilizzabile per gli investimenti.

L’ex ministro punta il dito anche contro il nuovo codice degli appalti, proponendo un cambio di paradigma: «La logica da affermare, se si punta alla eccellenza, è: può vincere anche chi ha il prezzo più alto nel caso in cui offra la migliore qualità tecnica, il pieno rispetto delle regole della sicurezza e la trasparenza retributiva». Infine, la tanto evocata tecnologia. Dalla fase di progettazione, a quella di manutenzione e di utilizzo, le macchine devono essere messe nelle condizioni di non nuocere ai lavoratori. Come ha ricordato un sindacalista la scorsa settimana all’indomani dell’infortunio mortale di Pontida: «Le macchine sottoposte a manutenzione e correttamente utilizzate non ammazzano le persone».

Insomma, ancora una volta, la questione è tutta politica ed è inevitabile che si entri nel territorio del compromesso. Ma come ci ha ricordato il presidente, il diritto inalienabile (come l’indignazione) viene prima di tutto.

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