Per il governo
rischio scivolata

Il gran pasticcio della prescrizione diffonde un’immagine e una consapevolezza. L’immagine è quella dei diversamente alleati della maggioranza che non riescono a maturare uno spirito di coalizione. La consapevolezza riguarda un governo sospeso fra galleggiamento e logoramento, in ostaggio delle contorsioni extraterrestri dei grillini.

L’esecutivo rischia di scivolare sulla riforma della contestata riforma del Guardasigilli Bonafede, sottoscritta da Cinquestelle, Pd e Leu ma non da Renzi, perché al Senato non ci sarebbero i numeri nell’eventualità dello sganciamento di Italia viva verso il sostegno esterno. Lo schema si ripete su tutto: grillini e renziani se le suonano di santa ragione per motivi uguali e contrari, mentre i dem stanno in mezzo offrendo protezione a Conte e cercando di scrollarsi il sospetto di essere subalterni ai 5MS. Primum vivere per infinita mediazione, ma fino a quando? In ballo c’è ancora il nodo Autostrade, poi il piattone ghiotto delle centinaia di nomine nelle aziende pubbliche e la nuova tornata delle Regionali in primavera.

La precarietà quale cifra esistenziale è destinata a riproporsi almeno fino ad aprile con gli Stati generali dei grillini, quando dovranno decidere cosa fare da grandi: rimanere equidistanti fra Pd e Lega, diventare una costola della sinistra, interrompere la ricreazione e assumersi le responsabilità di essere parte del sistema, o reinventarsi.

Si sommano tre debolezze in attesa di sapere se la contesa politica sarà a due (destra-sinistra) o, con la complicità della legge proporzionale, a tre (5MS e renziani rispettivamente autonomi). I grillini, al capezzale delle macerie del loro fallimento politico, sono nello status di miracolati in cortocircuito: perdono pezzi tutti i giorni, collezionano sconfitte nelle urne, eppure rappresentano (formalmente) la principale forza del Parlamento. Non si capisce chi comandi ed è un tutti contro tutti, fino al paradosso Di Maio, il socio occulto degli anti Conte che, dall’esilio mediatico della Farnesina, chiama alla piazza contro il governo, cioè contro se stesso, perché i grillini esprimono il presidente del Consiglio, 10 ministri, 6 viceministri e 16 sottosegretari. Renzi fin qui ci ha abituato a stare dove meno te lo aspetti, ma questa volta è stato abile ad afferrare il bandolo della matassa, perché deve capitalizzare i frutti della scissione e ridurne i costi. Guerriglia corsara e movimentista la sua, tuttavia l’esito anche degli errori altrui: più Conte e Zingaretti cercano di guadagnare tempo, più offrono il diritto di tribuna all’ex premier. E poi c’è il Pd che spesso dà l’idea di non sapere che pesci pigliare e quale direzione voglia prendere, incerto e timoroso di creare problemi ai grillini e troppo propenso ad affidarsi al premier, che rimane un oggetto misterioso.

Dunque, la frittata della prescrizione è fatta e si tratta adesso di metterci una pezza, un gioco comunque al ribasso su un tema estremamente delicato, quello del paziente-giustizia, che chiama in causa le garanzie dei cittadini e lo Stato di diritto. L’esito della partita non sarà indifferente per i rapporti di forza nella maggioranza: a chi tocca perdere la faccia? Il problema è che il blocco della prescrizione, almeno nella formula iniziale, nasce come manifesto identitario e deriva da un’idea malata: sospettabile, cioè, di utilizzare il processo come vendetta sociale per amor di galera e per passione punitiva. La prescrizione – come è stato ricordato dai vertici degli uffici giudiziari e dall’avvocatura – è una garanzia per i cittadini e assicura che non si possa essere imputati a vita e neppure vittime, persone offese e parti civili vita natural durante. S’è tracciato, sotto il profilo della proporzionalità e della ragionevolezza, un solco con il paradigma garantista e con la Costituzione, peraltro in assenza finora di una riforma complessiva del sistema, un deficit che elimina così la coerenza fra le parti e il tutto: s’è replicato l’errore della riduzione del numero dei parlamentari avvenuta senza modificare il resto dell’ordinamento. Il passo falso grillino s’inserisce nel filone del populismo penale che ha ai suoi estremi la logica carceraria del «gettare la chiave» e l’intento di estendere il diritto penale a ogni aspetto della vita pubblica e privata, là dove si sa che l’inasprimento delle pene e l’introduzione di nuove fattispecie di reato non hanno contribuito a ridurre i crimini. In un Paese dove si calcola la presenza di oltre 30 mila figure di reato, il caos legislativo in materia penale – ha detto al «Mulino» il giurista e filosofo di fama internazionale Luigi Ferrajoli – «è responsabile sia dell’abbassamento della garanzie, sia della riduzione dell’efficienza della macchina giudiziaria, paralizzata da milioni di processi per reati bagatellari». Si poteva fare di meglio, prendendola dal versante corretto, evitando di inseguire un consenso facile. L’ennesima occasione sprecata, degna di miglior causa.

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