Povertà, i sussidi da non tagliare

Italia. Sul decreto che dovrebbe riformare il Reddito di cittadinanza ruota un dibattito un po’ surreale. Il perché è presto detto: la prima bozza è stata anticipata da un autorevole quotidiano in maniera informale. Non è una novità.

A volte capita, soprattutto quando si tratta di un provvedimento fiscale o di natura economica, che il Governo o uno dei suoi ministeri facciano trapelare delle anticipazioni. Si tratta della consumata tattica del «ballon d’essai», dal nome dei palloni aerostatici che si usavano in guerra per capire se dall’altra parte c’era un nemico che sparava. Prima di convocare una conferenza stampa e annunciare il decreto definitivo, meglio far trapelare la bozza informale per vedere l’effetto che fa. Così che si è sempre pronti a smentire, o a modificare in corsa la bozza, a limarla su sollecitazione dei corpi intermedi o delle parti sociali, o addirittura a non presentarla nemmeno, senza magari rimediare una marcia indietro o una figuraccia come avverrebbe nel caso di presentazione ufficiale a Palazzo Chigi.

Questa specie di «strategia dell’indiscrezione» è avvenuta con il Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle, avversato, almeno nei programmi, dal Terzo polo e soprattutto dal centrodestra. Dunque è difficile discutere una bozza attribuita ma non ufficializzata dal Governo, a meno di esercitarsi con i condizionali. Proviamo. Stando alla bozza, che ormai circola su tutti i media e social media, il Reddito di cittadinanza verrebbe ribattezzato Mia (che non è un nome di donna ma il burocratico e opaco acronimo di Misura di inclusione attiva). Gli aventi diritto sarebbero divisi in due platee: quella dei non occupabili, eredi del Reddito di inclusione messo a punto dall’Alleanza contro la povertà, e degli occupabili, ovvero di coloro che sono in grado di lavorare ma sono disoccupati. Il provvedimento di fatto separa le platee tra famiglie con over 60, minori o disabili e quelle senza queste categorie. Tutti gli altri, anche i minorenni con almeno 16 anni saranno tenuti all’obbligo di «partecipazione attiva, formazione e lavoro» nel nuovo sussidio contro la povertà, se non impegnati in un percorso di studi. Si tratta di una vera e propria stretta. Le famiglie senza persone occupabili dovrebbero prendere un importo di circa 500 euro (più 280 per l’affitto) mentre quelle con persone occupabili dovrebbero avere al massimo 375 euro al mese (contro i 500 attuali). Vi è poi un decalage che evidentemente tende a disincentivare questa richiesta.

Al momento il Reddito di cittadinanza si può chiedere senza limiti solo aspettando un mese tra una domanda e l’altra (la durata per ogni domanda se non cambiano le condizioni della famiglia è di 18 mesi) mentre la nuova misura potrebbe prevedere la riduzione della durata per la seconda domanda a un anno. Ma per le famiglie con persone occupabili la durata dovrebbe scendere a un anno per la prima domanda e a sei mesi per la seconda. Se poi si vorrà fare una terza domanda si dovrà aspettare un anno e mezzo (senza mangiare?). Dovrebbe essere anche modificata la scala di equivalenza che ha prodotto disparità a favore dei nuclei con un solo componente e a scapito delle famiglie numerose e diminuito gli anni di residenza: da 10 a 5, come impone l’Unione europea. Una stretta dovrebbe arrivare anche sul tetto Isee per avere diritto al sussidio, che dovrebbe scendere a 7.200 euro dai 9.360 attuali.

Dunque il nuovo sistema fa leva su un minor reddito per spingere le persone a trovare lavoro. Cosa francamente molto opinabile: siamo sicuri che una persona disoccupata troverà lavoro perché gli si levano i mezzi di sostentamento? Sarebbe questa l’inclusione «attiva»? Il lavoro in Italia non si trova perché non c’è o non ce n’è abbastanza. Non è rendendo più poveri i poveri che questi troveranno lavoro. Non si parla ad esempio (a meno che il ministro del Lavoro Calderone lo tiri fuori nella bozza ufficiale come un coniglio dal cilindro) di corsi di formazione e riconversione adeguata, condizione indispensabile in un’industria complessa come quella odierna per ritrovare un’occupazione.

Ma è soprattutto la restrizione degli aventi diritto a creare forti perplessità. L’inflazione in Italia è quasi a due cifre e come sappiamo incide soprattutto sui redditi dei più poveri. La platea dunque andava allargata e non ristretta, proprio per le conseguenze del rincaro dei prezzi. Si potrà opinare che mancano i soldi (pare che questo provvedimento faccia risparmiare alle casse dello Stato circa tre miliardi). Che ci volesse un tagliando per il reddito di cittadinanza era altrettanto condiviso e prevedibile. Ma che si arrivasse a un tale pateracchio (o se volete un eufemismo, un compromesso) forse era un po’ meno prevedibile. Davvero non ci troviamo di fronte a una potenziale bomba sociale?

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