Propaganda di guerra, ma la verità viene a galla

Il COMMENTO. Nel mondo sono in corso 36 guerre. La più analizzata e dibattuta è quella in Ucraina, per una serie di ragioni: ha evidenti ricadute geopolitiche e una finalità chiara, ridisegnare «l’ordine mondiale unipolare» come ha ribadito più volte il presidente russo Vladimir Putin, anche se sarebbe più corretto parlare di disordine e non andrebbe dimenticato l’impero cinese che rende l’attuale assetto almeno bipolare.

Perché il ritorno di un conflitto armato in Europa, dopo la dissoluzione sanguinosa della Jugoslavia negli anni ’90, chiama in causa la Nato e gli Usa, ai quali Kiev si era associata per liberarsi dal gioco del Cremlino; e, per chi vuol vedere, in seguito alla brutalità dell’invasione che in 14 mesi ci ha consegnato un tragico bilancio: almeno 28mila civili ucraini uccisi secondo le stime dell’Onu (ma potrebbero essere almeno il triplo, hanno precisato le stesse Nazioni Unite, perché gli scomparsi sono migliaia), 190mila edifici non ad uso militare distrutti, compresi scuole e ospedali, 6 milioni di sfollati e 7 milioni di profughi. Non a caso Papa Francesco da mesi parla di «Ucraina martoriata».

Ma questo conflitto molto analizzato e discusso è segnato anche da un giudizio fortemente ideologico che colpevolizza le istituzioni ucraine, e quindi i cittadini che le hanno liberamente votate, ritenute offensivamente «suddite» dell’Alleanza atlantica e della Casa Bianca, come se la collocazione non fosse stata scelta ma subita. Così fin dai primi giorni di guerra chi sposa questa prospettiva mise in dubbio la veridicità di fatti gravissimi. Il 9 marzo 2022 un bombardamento dell’esercito russo colpì il reparto maternità dell’ospedale numero 3 di Mariupol. Il Cremlino disse che non era un ospedale ma una caserma di soldati ucraini. In Italia, in particolare sui social, la notizia accese un dibattito accanito: chi più o meno consapevolmente sposava la versione di Mosca disse che la scena era stata costruita, un set, e un’attrice la donna di 31 anni ferita, trasportata in barella e immortalata in una foto. Quell’immagine ha vinto il «World Press Photo 2023», il premio più importante nell’ambito della fotografia. A scattarla è stato Evgeniy Maloletka. «La donna non ce l’ha fatta, è il dolore più grande, che resta anche in questo momento di felicità per il riconoscimento - ha detto il vincitore -. Era scesa per le scale dell’ospedale da sola, poi l’hanno fatta sdraiare. Aveva il bacino fratturato e un’anca fuori posto. Anche il figlio in grembo non è sopravvissuto».

Pure la fondatezza del bombardamento russo del teatro di Mariupol (600 vittime) e dell’eccidio di Bucha (1.500 morti) fu negata: quelli in strada nella cittadina alle porte di Kiev non erano corpi ma manichini; secondo altri invece erano corpi ma la responsabilità del massacro dei servizi segreti britannici o dell’esercito ucraino. Il dubbio è assolutamente legittimo, anzi necessario nella pioggia di notizie anche false. Ma quando emerge la verità, bisognerebbe riconoscere l’errore di affermazioni fuorvianti, per umanità verso le vittime e per onestà intellettuale.

Viviamo in un’epoca segnata dall’eterno sospetto, un atteggiamento per il quale nulla è vero se non le proprie opinioni confuse con i fatti. È nota la citazione attribuita a Eschilo: «In guerra, la verità è la prima vittima». Ma la verità con il tempo emerge. Per quanto i contendenti vogliano nascondere i loro misfatti, il desiderio di giustizia delle vittime è più forte. Dalle fosse comuni in Bosnia alle torture perpetrate in Iraq dalle forze militari statunitensi nel carcere di Abu Ghraib, la realtà peggiore presenta il conto. Le propagande puntano ad occultare la verità e a governare le opinioni pubbliche ma non sono tutte uguali. Fin dai tempi delle «misure attive» sovietiche, quando ancora non c’erano i social a inquinare le opinioni, una delle strategie distintive di Mosca è stato il ricorso alla diffusione di disinformazioni mirate o all’amplificazione di narrative manipolate quale arma per opporsi ai propri avversari politici. Un esempio da manuale è la teoria diffusa negli anni ’80 dal Kgb in Africa, che vorrebbe l’Aids come un’arma biologica creata dagli americani. Queste operazioni sembrano raffinate se paragonate alla facilità con cui oggi, nel mezzo del grave conflitto in Ucraina, gli esponenti del regime di Putin possono esporre la propria propaganda sui mezzi di informazione italiani.

Anche la propaganda Usa è forte ma con una differenza: il Cremlino nei 14 mesi dall’inizio dell’invasione dello Stato confinante ha obbligato alla chiusura 200 testate giornalistiche russe e 3mila siti d’informazione o di organizzazioni non governative contrarie alla guerra. Le torture di Abu Ghraib furono svelate a fine aprile 2004 quando un network televisivo statunitense pubblicò un servizio sui crimini contro i detenuti. Il filosofo Bertrand Russell diceva che «la propaganda si rivolge alle emozioni più che alla ragione». È compito di ogni cittadino porsi di fronte alle notizie con spirito razionale e non emotivo, per non lasciarsi irretire dalla propaganda e per non cadere nel cinismo dell’eterno sospetto.

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