Quel sogno olimpico
che arriva da Expo

Vinto. Anzi, stravinto: 47 a 34. E tanti saluti a Stoccolma. Milano e Cortina ospiteranno le Olimpiadi invernali del 2026. Praticamente dopodomani. Una grande, grandissima, vittoria, che parte da lontano. Non ce ne voglia Cortina e il suo indiscusso charme à la page, ma questa vittoria è targata soprattutto Mi e viene da lontano. Da quell’aprile 2008 che aveva visto Milano trionfare sulla turca Smirne nella corsa all’Expo. Contestato, discusso, tutto quello che volete: ma quei sei mesi del 2015 hanno segnato uno spartiacque.

La «Milano da bere» degli anni Ottanta aveva ceduto definitivamente il passo a quel «fare» molto meneghino e pratico. Capace di portare il mondo per sei mesi in una spianata vicino a Rho e lasciare il segno in un’edizione Expo che ha segnato una rottura tra il vecchio e il nuovo. Per i detrattori doveva essere un bagno di sangue, si è trasformato in un successo planetario.

Già quella volta, in prima linea, c’era Beppe Sala, ieri scatenato (insieme ad Attilio Fontana Luca Zaia, governatori di Lombardia e Veneto) a Losanna dopo la proclamazione. Un sindaco di una città europea, capace di comprendere rischi, sfide e problemi di una metropoli che si è sempre governata da sola. Capace di passare dalla Lega al centrodestra e al centrosinistra senza scossoni di alcun genere, di superare persino lo Tsunami di Tangentopoli senza perdere il suo status di capitale degli affari. Nel bene e nel male. Anche se, al tirar delle somme, forse il più grande nemico di Milano resta la tendenza all’autoreferenzialità, ancora più forte se la politica è debole.

Ora ci sono 7 anni davanti e, come per Expo, la corsa va oltre Milano e pure Cortina. La perla delle Dolomiti fa storia a sé, tanto bella quanto comunque lontana: 2 ore, 54 minuti e 27 secondi - «Alboreto is nothing» - per citare un mitico inciso di Guido «Dogui» Nicheli, caratterista della commedia all’italiana. Bergamasco di nascita, tra l’altro: come quelle due pazze scatenate di Sofia Goggia e Michela Moioli, che ieri a Losanna ci hanno strappato più di un sorriso durante la presentazione della candidatura di Milano. E anche il malcelato orgoglio che, sì, in questa partita a cinque cerchi Bergamo c’era, e con due campionesse olimpiche. Giovani, donne, cittadine del mondo e felici. E ieri, vedendole fare la dab dance davanti ai seriosissimi membri del Cio, lo siamo stati un po’ tutti.

Nel 2006 Torino ha cambiato volto con le Olimpiadi invernali, togliendosi di dosso una volta per tutte quella patina di grigia città postindustriale alla ricerca di un futuro dopo la crisi. Vent’anni dopo, Milano giocherà una partita diversa, quella che da anni la vede impegnata ad essere l’avanguardia europea di un Paese che spesso ha il fiato corto guardando a questo orizzonte. Anche per motivi squisitamente politici.

Per Bergamo gli spazi di manovra sono risicati, forse il pattinaggio all’IceLab, struttura all’avanguardia a livello nazionale: ma come per l’Expo, bisogna essere capaci di alzare lo sguardo al di là della mera territorialità dell’evento. L’aeroporto di Orio, le eccellenze culturali del territorio, la nostra storia: sono tutti piatti da mettere sul tavolo di un evento planetario che richiamerà in Lombardia migliaia di persone.

Certo, c’è parecchio rammarico per la situazione delle nostre montagne, assolutamente impreparate ad offrire qualcosa di adeguato ad una manifestazione di questo livello: ma del resto la situazione è nota e, ahinoi, apparentemente senza sbocchi. Almeno a breve termine. Ma ora godiamoci quello che il premier Giuseppe Conte ha definito un «sogno di tutta l’Italia». Sorvolando sul fatto che i Cinque Stelle non la pensavano cosi, c’è solo un modo per realizzarli, i sogni: svegliarsi. Al lavoro!

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