L'Editoriale
Mercoledì 26 Gennaio 2022
Quirinale
lo spettro
del voto
a oltranza
Ancora una fumata nera, ancora schede bianche, ancora schermaglie, incontri, finte mosse, dissimulazioni. Come quella del centrodestra che ha presentato in gran pompa con tanto di conferenza stampa (senza domande) una rosa di tre nomi - l’ex presidente del Senato Marcello Pera, Letizia Moratti e il magistrato Carlo Nordio - quando tutti sanno benissimo che la carta «coperta», l’unica non presentata, è quella di Elisabetta Casellati presidente del Senato, ed è su quel nome che i partiti di centrodestra non si sa con quanta convinzione stanno verificando i voti.
Naturalmente il centrosinistra ha bocciato la «rosa» giudicandola irricevibile, come aveva cassato il nome di Franco Frattini, ex ministro berlusconiano agli Esteri e fresco presidente del Consiglio di Stato, rifiutato in quanto considerato filo-russo, poco atlantista ed europeista (curiosa accusa per un componente dell’Aspen Institute, ma va così).
Resta il fatto che l’aver presentato quella terna, per quanto poco credibile, è stato considerato da Pd e M5S come un segno di disponibilità al dialogo, e tanto potrebbe servire ad un incontro bilaterale. Addirittura Enrico Letta propone di organizzare una specie di Conclave di Viterbo, chiudendosi tutti quanti in una stanza «a pane e acqua» fino a che non si trovi una soluzione «perché il Paese non può aspettare». Per quanto drammatizzata, è una proposta concreta, chissà se Salvini e gli altri la accetteranno. Certo è che se non ci sarà un momento di incontro tra coalizioni, allora davvero la prospettiva di una lunga sequenza di votazioni a vuoto diventerà più concreta, e addio elezione al quarto scrutinio con solo 505 voti di quorum.
In questo vuoto, la candidatura di Mario Draghi resta pur sempre in campo, anche se continua a ricevere dei «no» più espliciti. Quello di Giuseppe Conte, per esempio, secondo il quale non ci sono le condizioni per cambiare «il timoniere» nel mare in tempesta della pandemia, della crisi geopolitica, dell’attuazione del Pnrr, ecc. È un secco rifiuto della candidatura del presidente del Consiglio anche se Conte ci ha abituato a giravolte dovute al fatto che la sua presa sui gruppi parlamentari pentastellati è piuttosto incerta e malsicura, e che le sue parole sono condizionate dalle pressioni di Di Maio e Fico, due veri capicorrente. Senza contare che non sappiamo se Grillo, nonostante le vicende giudiziarie, stia facendo sentire la sua voce oppure no.
A differenza di Conte, Letta dice di sentire il dovere di «preservare il nome di Draghi» temendo che alla fine della vicenda, se non eletto Capo dello Stato, il presidente del Consiglio resti così logorato da dover imboccare la strada d’uscita provocando le elezioni anticipate: tutti sanno però che per l’Italia a quel punto ricomincerebbe l’incubo dello spread, la guerriglia dei Paesi «frugali» spaventati dal nostro debito al 156%, le pressioni di Bruxelles, ecc. Ecco perché la comunità finanziaria e i suoi giornali spingono all’unanimità perché Super Mario resti a Palazzo Chigi a governare, perché alla fine è lui l’unico di cui si fidino gli investitori internazionali.
In tutto questo bailamme, da notare due elementi. Primo, Casini è sempre silenziosamente in pista, spinto da Matteo Renzi e da altri centristi. Quella dell’ex presidente della Camera resta una carta ancora da giocare. Secondo, ieri Mattarella è stato votato da 39 Grandi elettori. Fate caso se oggi, alla terza votazione a vuoto, quel numero comincia a crescere. Potrebbe essere un segnale importante.
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