Riforma del fisco, ultimo treno

Sulla riforma del fisco annunciata da Draghi c’è da registrare innanzi tutto lo strappo della Lega, reduce dall’insuccesso delle amministrative (ma i ministri di Salvini avevano già abbandonato nei giorni scorsi la cabina di regia) che pone un problema nella maggioranza. Le motivazioni non sono chiare come a onor del vero non sono chiari i contenuti della riforma. Si potrà obiettare che non possono esserlo per forza di cose, poiché si tratta di una legge delega, di una legge-scatola fatta di dieci articoli che fissa i principi generali e che dovrà essere riempita entro 18 mesi dopo l’approvazione del Parlamento, il quale appunto «delegherà» il governo a riempirla di contenuti attraverso i decreti legislativi.

Draghi ha preteso che fosse una delega «larga, di un guscio vuoto», manca la «ciccia» per dirla terra terra. Oltretutto la riforma, si prevede, andrà a regime non prima del 2023. Evitando dunque di parlare su argomenti e decisioni che forse non conosce ancora nemmeno Draghi si possono però dire alcune cose.

Va detto innanzitutto che con questa riforma l’Italia risponde a una richiesta del Fondo monetario internazionale e soprattutto dell’Unione europea ed è la contropartita per ottenere i finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. È il metodo di Bruxelles, piaccia o no: soldi in cambio di riforme per adeguare il Paese alla media europea. Dovevamo farla insomma, anche perché l’ultimo censimento del catasto – impresa titanica, la prima la fece Diocleziano nel terzo secolo – è di 50 anni fa, negli anni ‘70. Draghi promette che con l’aggiornamento della mappa catastale i proprietari di case non pagheranno un centesimo di più e nemmeno uno di meno perché il carico tributario rimarrà lo stesso e speriamo sia così, anche se non si capisce come sia possibile visto che vi sarà un riordino delle rendite e gli immobili saranno adeguati ai prezzi di mercato. Però attenzione: Draghi non lo ha detto, ma è implicito, che gli evasori o gli «elusori» fiscali, ovvero coloro che fino ad oggi non cacciano un centesimo o versano meno tasse, saranno costretti a pagare, poiché si calcola che ogni anno tra immobili non censisti, abusivi, edificabili accatastati come agricoli etc., lo Stato registra un ammanco di 100 miliardi di euro di mancate entrate.

Ma le parole d’ordine del disegno di legge sono anche semplificazione burocratica; riordino della giungla normativa (si arriverà probabilmente a un testo di legge unico), la revisione dell’Iva e soprattutto il taglio del prelievo Irpef sul ceto medio (il terzo scaglione, quello che percepisce tra i 28 mila e i 55 mila euro l’anno) e dell’Irap sulle imprese. Così facendo si vuole ridurre il cuneo fiscale (superiore di 5 punti rispetto alla media europea). Per finanziare quest’ultima decisione il governo utilizzerebbe un «tesoretto» di 19 miliardi di euro proveniente dal maggior gettito fiscale dovuto alla maggiore crescita (più 6 per cento). I partiti premono per destinare buona parte di questa somma al taglio delle tasse, ma in ballo ci sono altre partite aperte, dalle pensioni al reddito di cittadinanza. Un altro degli obiettivi indicati dal governo è quello del riordino delle deduzioni dalla base imponibile e delle detrazioni dall’Irpef (ad esempio le spese mediche, le rette universitarie, i contributi della pensione integrativa etc.). Anche qui dovremmo vederne delle belle. Tra le indicazioni rientra anche l’armonizzazione della tassazione del risparmio «tenendo conto dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione dell’imposta», come ha detto il ministro dell’Economia. Ci sarà anche una stretta sull’Imu, l’imposta sulla casa più evasa in Italia: le regioni italiane meno virtuose sono quelle del Mezzogiorno con la Calabria in testa, ove l’ammanco raggiunge il 46,3%, seguita da Campania, con il 38,2%, e poi da Sicilia e Basilicata, con il 35,7%.

Non sarà dunque una riforma a costo zero per i contribuenti. Ci sarà una stretta contro evasori ed elusori fiscali e tra i contribuenti ci sarà chi ci perde e chi ci guadagna. Draghi vuol tenersi le mani libere nonostante la legge delega preveda dei confronti col Parlamento. Anche se magari, chissà, vedrà la fine della riforma dalle stanze del Quirinale.

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