Ripartenza: il governo
solido che non c’è

Siamo ormai alla vigilia della fatidica riunione straordinaria del Consiglio europeo del 23 aprile. Fatidica, anzitutto per l’Unione europea. Un ulteriore gioco al rinvio di corposi interventi per la lotta all’emergenza sanitaria ed economica potrebbe significare la sua dichiarazione di morte. Fatidica per il nostro Paese. Senza un pacchetto sostanzioso di aiuti il rischio di un nostro collasso economico, sociale e anche politico sarebbe concreto. Fatidica, infine, personalmente per Conte. Il premier non può permettersi di tornare a mani vuote, senza Mes, senza coronabond e senza eurobond. Il pacchetto di misure, a sostegno delle disoccupazione, e delle imprese in gestazione, il cosiddetto decreto aprile (costo 60 miliardi), resterebbe a secco.

Abbiamo già avuto un assaggio di quale sarà la reazione dei mercati con l’impennata dello spread al solo profilarsi di un’accresciuta incertezza nell’azione di governo. Le previsioni di una caduta del nostro reddito a fine anno di circa il 10% prospetta un futuro da incubo: disoccupazione oltre il 12%, imprese - soprattutto le piccole - in panne. C’è da chiedersi: come potrebbe reggere il governo giallorosso a un’onda d’urto di tale portata? Al solo affacciarsi della difficile prova che aspetta Conte all’incontro del 23 aprile, si sono sentiti preoccupanti scricchiolii della maggioranza. Il tanto auspicato clima di «solidarietà nazionale» tra maggioranza e opposizione, tanto auspicato dal presidente Mattarella, è subito franato.

Conte s’è cacciato da solo in un vicolo cieco quando, desideroso di mostrare i muscoli che non ha mai dato prova di avere, ha pronunciato a muso duro il suo «no definitivo» al Mes. Faticherà non poco a strappare un solido aiuto dall’Europa presentandosi con le mani legate dalla sua intransigenza. Non gli sarà facile neppure rimangiarsi l’incauta chiusura e far poi trangugiare ai Cinquestelle il loro rifiuto a ogni cedimento sul Mes.

Pd e Italia viva, da parte loro, sono in una situazione di stallo: non possono mettere a repentaglio la maggioranza, ma non possono neppure avallare l’antieuropeismo di ritorno dei loro soci di governo. Nel frattempo, la maggioranza rischia di perdere il mondo delle imprese che, soprattutto dopo la nomina al vertice di Confindustria di Carlo Bonomi, tallona il governo invocando una riapertura dell’attività per non stramazzare a terra.

L’opposizione, infine, proprio nel momento in cui la maggioranza accusa le proprie divisioni su come reperire i fondi per la ripartenza del Paese, si scopre anch’essa divisa. Le sue repentine inversioni a U su come riaccendere i motori dell’economia (stretta del blocco/fine del blocco) non contribuiscono certo ad accrescerne la credibilità come forza di governo.

A mali estremi, estremi rimedi recita un adagio popolare che trasuda saggezza. A crisi estreme, diciamo sommessamente noi, estremo sforzo corale della nazione. Ci ritroviamo, invece, con una maggioranza divisa in due e un’opposizione pur essa divisa. Venerdì al Parlamento europeo l’Italia era rappresentata da sei partiti. Ebbene, non ci sono stati due partiti che abbiano votato allo stesso modo. Siamo senza un governo solido e senza una plausibile alternativa.

Dal male, diceva il buon Alessandro Manzoni, può venire anche il bene. Chissà che non valga anche per noi in questa drammatica crisi. Non è detto, infatti, che l’attuale emergenza non funzioni da provvidenziale selezione naturale della nostra classe dirigente in modo che, raggiunta l’immunità di gregge, non sia più esposta al contagio degli incompetenti, degli improvvisati e dei dilettanti allo sbaraglio.

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