Ripresa post Covid
alla prova Ue

Lasciare il Mes sullo sfondo, non negarne il possibile utilizzo ma nemmeno ipotizzarlo: solo così il Governo ha superato le sue divisioni sul Fondo Salva Stati e ha fatto approvare in Parlamento il documento che lo prepara al Consiglio europeo di domani e dopodomani (il primo in presenza dopo mesi). Consiglio europeo che dovrebbe chiudere la trattativa sul Recovery Fund (il piano per la ripresa post-pandemia da 750 miliardi) e che viene considerato da molti un appuntamento storico per l’Unione. Come è noto, la linea di credito aperta dalla Commissione per finanziare le spese sanitarie nel post-Covid, e che concede senza condizionalità aggiuntive a tasso zero con un lungo piano di ammortamento, prestiti pari al 2% di Pil, che per l’Italia equivarrebbe a 36 miliardi pronta cassa, è rifiutata dal M5S e in parte da Leu.

I grillini ne hanno fatto una battaglia di principio vedendo nel Mes una trappola: «Se chiediamo quei soldi prima o poi arriverà in casa la Troika a chiederci conto e ragione di come li abbiamo spesi». È una argomentazione che in realtà si fonda più sui Trattati europei che non sull’istituzione del meccanismo in sé che anzi si è spogliato delle condizioni punitive che ridussero la Grecia quasi alla fame. La posizione grillina è identica a quella di Salvini e di Giorgia Meloni mentre diverge da quella del Partito democratico e di Forza Italia.

Insomma, il Mes divide equamente sia la maggioranza che l’opposizione. Pd, renziani e berlusconiani sostengono che non c’è alcuna trappola, che quei soldi servono al sistema sanitario e che in ogni caso arriverebbero velocemente al Tesoro italiano a differenza di quelli del Recovery Fund attesi, nella migliore delle ipotesi, per la prossima primavera.

Il punto è che i partner nordici più ringhiosamente ostili a concedere gli aiuti (Olanda, Danimarca, Svezia, Austria), pretendono che l’Italia accetti i soldi del Mes come dimostrazione di buona volontà nel fare le riforme strutturali attese da tanti anni. Ma proprio questa pretesa dei «frugali» fa aumentare i sospetti: «Se volete che chiediamo i soldi del Mes come prova della nostra affidabilità, vuol dire che attraverso quel prestito voi sarete in grado di controllarci», dicono i grillini. Sospetto che si accentua perché i Paesi nordici hanno ottenuto (grazie alla Germania) che il controllo sulle spese venga affidato non alla Commissione europea ma al Consiglio, vale a dire ai governi. In pratica: l’olandese Rutte o l’austriaco Shulz potrebbero mettere il naso su qualunque nostra decisione di spesa e pretenderne la modifica.

È una battaglia difficile che il Governo affronta avendo questa divisione interna che lo indebolisce. Ha però delle armi a disposizione: per esempio la discussione sugli sconti («rebates») sulle quote da versare al Bilancio europeo che i Paesi del Nord ottengono da anni grazie alla loro condotta virtuosa. I rebates però debbono essere approvati all’unanimità, e l’Italia sta minacciando il veto.

Non è poi senza significato che il commissario Gentiloni abbia annunciato che la Commissione continuerà la lotta contro le disparità fiscali nella Ue e che fanno dell’Olanda un porto sicuro per le aziende europee (molte italiane) che vogliono pagare meno tasse: una condotta scorretta proprio da parte di chi si proclama «frugale» e «virtuoso».

Il presidente Conte, che è riuscito a chiudere il difficilissimo accordo su Autostrade, adesso deve affrontare la prova di Bruxelles: dal successo della missione dipende buona parte della possibilità di riprenderci dopo il trauma del Covid e di far ripartire l’economia caduta in profonda recessione.

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