Salvini annaspa
Letta pronto
a trionfare

Per fare i conti finali bisognerà aspettare il ballottaggio, è ovvio. Però per il momento, sappiamo che il centrosinistra ha piazzato alla prima prova tre sindaci importanti (Milano, Napoli, Bologna) e va al ballottaggio a Roma, Torino, Trieste. I Cinque Stelle sono quasi spariti ma Berlusconi è ancora tra noi. E ci dice che Salvini e Meloni devono ancora stare a sentirlo. Cominciamo.

Primo. Adesso i problemi di Matteo Salvini sono davvero seri. Il capo della Lega stava già in salita per la gara con Giorgia Meloni, per lo scandalo Morisi, per le critiche di Giancarlo Giorgetti e dei governatori alla sua linea morbida coi no vax e no mask. Adesso però ha preso una scoppola a Milano (Maurizio Lupi dixit) con il candidato scelto da lui e il Carroccio si ritrova con percentuali di lista del tutto insoddisfacenti. Il «miracolo» di aver portato un partito moribondo fino all’empireo del 34 è lontano anni luce. Ora da primo partito a secondo è un soffio, il rischio semmai è scivolare al terzo posto. Presto, prestissimo sul Carroccio si faranno i conti. Nel frattempo lui, il Capitano privo della «Bestia», butta la palla in tribuna, agita il tema delle tasse sulla casa, prova a smarcarsi dalla politica fiscale del governo, ordina ai ministri di disertare il Consiglio dei ministri. Il problema per lui è che Draghi va avanti come se niente fosse.

Secondo. Giorgia Meloni deve riuscire ad imporre il «suo» candidato Enrico Michetti in Campidoglio battendo il piddino Roberto Gualtieri. È la sua battaglia per la vita, quella che farà la differenza con Salvini e la potrebbe imporre leader del centrodestra. Già, ma leader per fare cosa? I filmati sui neofascisti dentro Fratelli d’Italia la mettono all’angolo in Europa e la costringono ad ascoltare la reprimenda di Berlusconi («Coi sovranisti e i razzisti non si va da nessuna parte»): il Cavaliere ormai ha pochi voti – tranne in Calabria, ovvio - ma è l’unico con in tasca la chiave per entrare nel salotto del potere.

Terzo, il Movimento Cinque Stelle. Cancellato nelle due grandi città che ha amministrato, viaggia con percentuali a una cifra e si sta estinguendo. Resiste solo dove si unisce (si aggrappa) al Pd, come a Napoli. Ma è nel pieno di una crisi di panico che mina la leadership (?) di Giuseppe Conte che si barrica parlando di «tempo della semina». Già, e il raccolto, quando?

Quarto, il Pd. Enrico Letta ha vinto: sia come linea politica – l’intesa coi Cinque Stelle – sia come posizioni: tre sindaci al primo colpo con la speranza di farli diventare almeno cinque al secondo, più due nuovi parlamentari, lui stesso a Siena e un fedelissimo in un quartiere di Roma. Se conquista Roma con Gualtieri e Torino con Lorusso la sua rivincita è totale, come quella del Conte di Montecristo.

Quinto. Matteo Renzi: non pervenuto in questo giro. Sesto. Carlo Calenda: ha fallito la prova ma ha raccolto tanti voti e può diventare a Roma l’ago della bilancia. Però prima o poi dovrà scegliere con chi stare. Di sicuro non uscirà di scena. Raggi, Appendino, de Magistris, Palamara: espulsi dalla giostra, non li vedremo più.

Ultimo, Mario Draghi. È più forte di prima. Come ama dire: «Il governo va avanti». La politica, nel suo fallimento, fa i conti con il prestigio e il modello di comportamento affidabile e sicuro del presidente del Consiglio. Il Covid costringe ognuno a rifare i conti, anche chi non lo ha ancora capito. Anche perché nel frattempo un italiano su due non va più a votare. E questo è un brutto segnale per tutti. Appuntamento a febbraio, alla partitissima del Quirinale. Laddove Bersani fallì, Letta potrebbe azzeccare la partita. Vedremo.

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