Scuola in presenza
Baluardo da difendere

All’inizio del quadrimestre il professore esordiva con: «Rinfreschiamoci la memoria». Facciamolo, riandiamo a quanto ci dicevamo lo scorso anno sul danno della chiusura, e forse sarà più chiaro perché le scuole devono restare aperte, almeno un po’. I dati fanno riflettere. Il primo giorno dopo le vacanze non è andato male: a livello nazionale, a casa è rimasto solo il 4,5% degli alunni; peggio i docenti, intorno al 10%, fra malati e i 5.000 no vax sospesi dal servizio. Finora sono stati 65 i giorni di scuola in presenza mediamente persi a causa della pandemia. Il triplo rispetto agli altri Paesi industrializzati, come sottolineato da Draghi. Che le assenze siano destinate ad aumentare, è noto a tutti e i docenti sanno che, ben che vada, potranno procedere solo col doppio canale presenza-distanza, limitandosi a una didattica per forza frontale. D’altra parte, è stato calcolato che circa 600 mila ragazzi, nello scorso anno, non erano riusciti a collegarsi in Dad.

Si terrà perciò la linea del Piave, consapevoli che non è stato possibile riempire del tutto in questi mesi le voragini conoscitive e recuperare l’allentamento motivazionale della combinazione isolamento- totalDad. Ne abbiamo sentite e viste di tutti i colori sullo spettro scuola-famiglia in Dad. Sappiamo che le diseguaglianze sono esplose, l’abbandono scolastico è salito alle stelle, il parcheggio dei disabili peggiorato. Per molti, l’analfabetismo da Covid è dietro l’angolo. E, senza istruzione, non ci sono cittadini ma schiavi. Ci siamo anche resi conto che andare a scuola è l’unico elemento di ordine quotidiano, di contesto (almeno un po’) paritario, di esperienza di essere generazione che i nostri figli hanno a disposizione. Senza quei gesti concreti e comuni che rassicurano e contengono le pulsioni nella loro prevedibilità, moltissimi ragazzi sono saltati.

La Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza denuncia che i primi nove mesi del 2021 hanno registrato più ricoveri dell’intero 2019. L’85% dei ricoveri sono urgenti, un minore su 4 viene ricoverato in psichiatria adulti perché mancano posti. Gli scompensi riguardano ragazzi con alle spalle situazioni difficili, ma anche provenienti da famiglie attente. Impulsi incontrollati, autolesività, disturbi del comportamento alimentare sono le diagnosi principali, seguite da depressioni e comportamenti suicidari. La pandemia ha aggravato un trend che già negli ultimi 10 anni aveva raddoppiato i pazienti seguiti, mentre le risorse a disposizione dei servizi pubblici sono costantemente calate. Il benessere psichico dei minori è diminuito del 10% a livello globale. Nei già vulnerabili e poveri il peggioramento è stato oltre il 25%.Nei fortunati sono aumentati rabbia, noia, difficoltà di concentrazione, senso di solitudine e di impotenza, stress, disturbi del sonno.

Educazione è relazione e, anche se non è pensabile che la scuola da sola possa rimediare a tutti i danni psicologici e conoscitivi della pandemia, è indubbio che, della ripresa di una generazione, è la pietra angolare.

Sullo sfondo resta la Dad, verso la quale siamo ora tutti più realistici: uno strumento ormai indispensabile ma non l’unico e non quello salvifico. D’altra parte, neppure quello da dannare. Come osserva il filosofo Eugenio Mazzarella, la Dad non è la causa, ma uno dei catalizzatori di un disagio giovanile multifattoriale. Il radar dei ragazzi coglie la stanchezza di una società di vecchi; la sensazione di essere in pochi, una generazione senza fratelli e sorelle, con troppi adulti intorno a pochi bambini. Avvertono un futuro di solitudine esistenziale che giustamente rifiutano e temono, mentre il filosofo ne coglie la possibile evoluzione generale: la perdita dei legami di famiglia e comunità è uguale al rischio per la democrazia politica e economica. Andiamo a scuola, che è meglio.

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