Studenti, la mobilità
è un valore assoluto

Nei giorni scorsi ha fatto discutere non poco l’iniziativa di alcune Regioni del Sud d’Italia di offrire un contributo economico a tutti gli studenti trasferitisi altrove che sceglieranno di rientrare e completare gli studi nella propria regione di origine. Un’iniziativa che ha trovato eco e ulteriore sponda nei rettori di quelle Università del Sud che, giusto per non rimanere indietro, hanno promesso di azzerare le tasse, quanto meno per il prossimo anno accademico, e poi si vedrà! Insomma, una sorta di bonus una tantum, dettato dalla legittima preoccupazione di un crollo degli iscritti a causa della pandemia e dall’incertezza che grava sul futuro, poiché purtroppo è piuttosto difficile stabilire, nel breve-medio periodo, quando si riuscirà a ripristinare quella «normalità» in cui eravamo abituati a vivere. Una preoccupazione però che riguarda tutte le Università italiane, anche perché le ripercussioni economiche della pandemia hanno inciso sui redditi delle famiglie dell’intero Paese, compreso il Nord.

Questa iniziativa, vale la pena dirlo subito, ha trovato una ferma opposizione da parte del ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, che ha sottolineato come il carattere territoriale di tali misure finirebbe per non garantire affatto agli studenti pari opportunità né, a maggior ragione, libertà di scelta. Tanto più, che si tratterebbe di incentivi che coinvolgerebbero esclusivamente gli studenti fuori sede, mentre per chi studia già al Sud tutto rimarrebbe inalterato, con la conseguenza che si verrebbe a creare una diversità di trattamento, con studenti cioè che, a parità di servizi, pagherebbero tasse differenziate. Secondo l’autorevole parere del ministro, queste misure non vanno nella direzione di un sistema nazionale della formazione e del diritto allo studio: le ha pertanto stigmatizzate, non tanto sotto il profilo giuridico – anche se occorre valutare bene un’eventuale loro illegittimità –, quanto sotto il profilo politico. Merita forse ricordare che l’attuale ministro, già presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane e Rettore della «Federico II» di Napoli, è uomo del Sud!

Le varie posizioni che sono emerse dal dibattito evidenziano una specie di «guerra per la sopravvivenza» in corso tra gli Atenei del nostro Paese, ma perdono forse di vista che per il rilancio delle Università, di tutte le Università del sistema nazionale, la questione degli incentivi economici ha senso se, e soltanto se, va di pari passo con la qualità della didattica e della ricerca che i singoli Atenei possono offrire. Ovviamente, che le Università propongano una tassazione differenziata per tutti, anche riducendo le tasse, è un fatto quanto mai positivo, perché questo significa dare maggiori opportunità agli studenti, a tutti gli studenti. Ma ogni studente deve essere messo nelle condizioni di poter scegliere un Ateneo non solo perché gli fa pagare meno tasse, ma appunto per la qualità della formazione professionale e anche – anzi, soprattutto – culturale che quell’Università è in grado di garantirgli.

La mobilità degli studenti – tanto per essere chiari: dal Sud al Nord, così come dal Nord al Sud, e ça va sans dire ciò vale anche per il Centro – è sempre stata e deve rimanere un valore. La mobilità è infatti un fattore di crescita formativa, culturale, sociale, civica e antropologica. Soltanto così, spostandosi e interagendo con altre realtà, si crea un sistema-Paese innovativo e produttivo. Non è infatti un caso che, soprattutto negli ultimi anni, tutte le Università hanno rafforzato i loro programmi internazionali, incentivando esperienze formative all’estero, scambi Erasmus, invitando docenti da tutto il mondo, per dare appunto ai nostri studenti opportunità di confronto e di crescita, culturale e umana. Tutto questo nella consapevolezza che la mobilità degli studenti avrà poi un ritorno significativo, anche in termini economici: gli studenti potranno, se lo vorranno, ritornare nei loro territori di origine arricchiti di un background di competenze e conoscenze così straordinario e ricco da contribuire alla crescita collettiva di quei territori.

Certo, le iniziative messe in atto dalle regioni e da alcuni Atenei del Sud sollevano una questione importante e decisiva, quella cioè della competitività. Ma bisogna essere onesti e trasparenti, evitando facili demagogie che rischiano di avere il fiato corto, di essere cioè poco lungimiranti. La sana concorrenza deve essere fatta sulla qualità e sulle effettive opportunità di crescita che vengono date agli studenti, non già su meri incentivi economici che si configurano come misure protezionistiche o, ancora peggio, come chiusura sterile dei confini territoriali.

Anche l’Università di Bergamo verrà incontro agli studenti, a tutti gli studenti a prescindere dalla loro provenienza geografica, investendo risorse interne che integreranno gli aiuti straordinari previsti dal Governo per la crisi della pandemia.

È noto in tutto il mondo come il nostro territorio sia stato colpito con severità dal virus e quale sia stato il prezzo – purtroppo altissimo – che abbiamo pagato in termini di vite umane: andare oltre queste attenzioni, però, significa distorcere la prospettiva e trasformare la concorrenza legittima tra gli Atenei in un’occasione per far perdere credibilità al sistema universitario nel suo complesso.

C’è un ultimo punto che mi preme sottolineare: la questione della competizione, quella sana ovviamente, in relazione alle specificità territoriali. È soltanto un bene che ogni Università abbia e mantenga un rapporto privilegiato con il proprio territorio, con la realtà produttiva e la cultura in senso ampio in cui è nata e opera. Questo radicamento fa di ogni Università un unicum, la rende peculiare, arricchendo di una specifica qualità formativa il sistema universitario nazionale. Ma fa molto di più: aumenta le opportunità per gli studenti ed evita che si creino forme di concentrazione nel sistema universitario.

Tutto può quindi essere competitivo e concorrenziale, nelle modalità che ho cercato di delineare, a patto che ci sia sempre rispetto per le singole identità e che la specificità territoriale non diventi motivo di chiusura e di impenetrabilità. Un principio che credo debba valere anche nell’economia, dove l’attenzione al territorio, al sistema formativo che lo caratterizza e che ne fa un elemento di crescita, non può essere trascurato. I riferimenti culturali territoriali, infatti, se non diventano autoreferenziali, rappresentano un elemento necessario per orientarsi e confrontarsi con le sfide di un mondo (anche universitario) sempre più globalizzato e internazionale.

*Rettore Università di Bergamo

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