Sui migranti un accordo politico bipartisan

ITALIA. Sull’immigrazione sarebbe ora di una svolta culturale. È la sostanza del monito del presidente Mattarella dal Meeting di Rimini ed è il senso della rivolta dei sindaci, su cui si scarica il problema.

Anche chi ha campato in questi decenni sul continuo rinvio di soluzioni strutturali perché faceva comodo lucrare sulle contrapposizioni emotive, non può pensare che si possa andare avanti così, con un fenomeno che durerà per un tempo indefinito. Deporre le armi e cercare una soluzione condivisa non è più un’utopia e se è vero che la soluzione è solo europea, dobbiamo smettere di mostrare all’Europa che i guelfi e i ghibellini abitano ancora lo stivale. In questo quadro, va meditato il senso profondo della recente sentenza della Cassazione che ha stabilito la punibilità penale dell’uso della parola «clandestini» riferita a tutti coloro che sbarcano in Italia, sia per sfuggire a guerre e dittature, sia per disperazione e povertà. Gli uni e gli altri vanno rispettati, salvati e accolti in nome della dignità umana. La sentenza afferma un valore costituzionale persino più importante della libertà - anch’essa costituzionale - che va riconosciuta ad un partito politico che imposti su questa valutazione la sua linea. Nella fattispecie, la Lega di Seregno aveva bollato come «clandestini» alcuni immigrati giunti in città, ma il termine implica un disvalore, un marchio di colpevolezza a priori, inaccettabile in uno Stato di diritto. D’ora in poi è perseguibile penalmente chi - in un manifesto, un comizio, una dichiarazione pubblica - usa il termine «clandestini». Salvini è ben informato, perché il suo partito, condannato in Cassazione, pagherà anche una sanzione pecuniaria.

Quando solo in 8 mesi si superano i 100mila sbarchi non è più un’emergenza transitoria e non siamo più al tempo in cui, esattamente 20 anni fa, un Governo di centrodestra accettò distrattamente l’applicazione del Trattato di Dublino, origine di tutti i guai per il nostro Paese. Allora si pensava che bastasse fare la faccia feroce per bloccare le partenze di disperati chiusi nei lager libici, che invece nulla sapevano della nostra propaganda e della gara alla cattiveria di questo o quel ministro degli Interni. Oggi bisognerebbe capire che i decenni trascorsi senza soluzione sono ancora pochi per un fenomeno epocale e universale. La questione non si risolverà da sé, né tanto meno con le cannonate del fantomatico meloniano blocco navale.

La sentenza formalmente riguarda un comportamento, ma apre una breccia nel muro che divide la platea di coloro che scappano in quanto perseguitati per ragioni politiche, religiose, etniche e di coloro che lo fanno per fame. È una rivoluzione per un sistema costruito, dalla Bossi-Fini in poi, su questa distinzione, con infinite attese di un documento, discriminazioni, drammi umani e familiari. È vero, come si dice, che non si può accogliere in Italia tutta l’Africa, ma la soluzione non è chiudere gli occhi e rispondere cinicamente ai morti di Cutro con un’invettiva contro i trafficanti e altre restrizioni per le loro vittime e addirittura per chi li soccorre.

Ecco perché occorre una visione di interesse nazionale, come è accaduto con la pandemia, marginalizzando i dissensi ideologici e cercando una convergenza che fermi la corsa ad una convenienza elettorale sulla pelle dei morti in mare e dei disagi sociali in terra. Il limone della convenienza elettorale è ormai totalmente strizzato. Se invece sarà ancora irresistibile usare ad alta voce, tra scroscianti applausi, il termine «clandestini» come sinonimo di delinquente, si favorirà il quadro attuale, ipocrita e crudele. Giorgia Meloni contraddica i programmi su cui ha costruito il successo elettorale nel 2022 e dichiari - con il coraggio che non le manca - che invocare il blocco navale è stato un errore e che occorre un accordo politico bipartisan. Altrimenti il suo Governo sarà ricordato soltanto per aver battuto tutti i record numerici sugli sbarchi.

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