Superbonus più equo? Il problema è l’evasione

Il commento. «Non si è mai vista nella storia una misura che costasse così tanto a beneficio di così pochi». Il giudizio del ministro dell’Economia Giorgetti spiega così la decisione di ridimensionare l’ormai famoso Superbonus.

Non solo infatti il governo Meloni ne prevede la rimodulazione dal 110 al 90% a partire dal primo gennaio 2023, ma soprattutto restringe la platea dei beneficiari: coloro che si trovano con un reddito inferiore a 15mila euro l’anno. La novità (positiva) è che per la prima volta nella storia della Repubblica viene introdotto il prototipo del quoziente familiare. Il reddito massimo per poter godere del Superbonus infatti non viene calcolato in base al singolo contribuente ma ai componenti della sua famiglia. Facciamo un esempio: un cittadino, unico percettore di reddito, che ha moglie e tre figli, il cui imponibile Irpef è di 50mila euro lordi all’anno, in base al quoziente familiare (l’imponibile diviso il numero dei componenti) si vedrà attribuire un reddito non di 50mila (come avverrebbe per un single) ma di 12.500 euro e dunque potrà usufruire del Superbonus. Ora è partita una specie di corsa contro il tempo per chi aveva già intenzione di presentare la domanda, perché nel regime transitorio la certificazione per il bonus va presentata entro il 25 novembre e la delibera dell’esecuzione dei lavori da parte dei condomini dovrà partire prima dell’entrata in vigore del decreto, ovvero tra una manciata di giorni.

Secondo il premier Giorgia Meloni finora del Superbonus ne hanno approfittato solo i ricchi, ovvero i redditi medio alti, creando molti problemi alle casse pubbliche, dato che finora è costato 60 miliardi di euro (aprendo una voragine di 38 miliardi di euro). Però il governo non dice che queste agevolazioni, che permettevano di ristrutturare «gratis» il proprio stabile grazie alle detrazioni, i poveri non le fanno perché hanno altro cui pensare. Almeno quelli veri, non certo gli evasori fiscali che dichiarano un imponibile di meno di 15mila euro e magari ne percepiscono il triplo in nero. Finché in Italia avremo l’anomalia di un’evasione Irpef abnorme, dipingersi il Robin Hood delle tasse rischia di essere complicato e spesso controproducente. Secondo i recenti dati del ministero dell’Economia, la propensione all’evasione Irpef nel 2020 è salita tra autonomi e imprese del 68,7%, sottraendo allo Stato 27,65 miliardi di euro. Loro sì che possono effettuare ristrutturazioni. Gli altri, ovvero i poveri veri, hanno altri pensieri nella testa: magari cercheranno di ottenere un appartamento nell’edilizia popolare o di passare con sacrifici enormi dall’affitto all’agognato possesso della prima casa.

Va anche detto che il Superbonus (peraltro criticato anche da Draghi, bandiera dei 5 Stelle di Conte) non era solo un privilegio, poiché permetteva di far girare l’economia e avvantaggiare il settore edile, oltre che essere un formidabile motore di innovazione. Era infatti previsto per interventi di riqualificazione energetica, messa in sicurezza degli edifici (contro i terremoti e le alluvioni, per esempio), installazioni di riscaldamento autonomo, efficientamento energetico, impianti solari fotovoltaici, rimozione delle barriere architettoniche. Tutto ciò di cui l’Italia ha bisogno e di cui i programmi dei partiti erano pieni prima delle elezioni, da sinistra a destra. Anche per questo far passare un’operazione di risparmio di cassa (giusta o sbagliata che sia, è solo un problema di redistribuzione delle risorse) per un gigantesco provvedimento di equità fiscale e giustizia sociale per raddrizzare il legno storto del privilegi dei «ricchi» (che tanto per cambiare vengono individuati nel bacino del povero ceto medio, sempre più povero da decenni) è forse un tantino pretenzioso.

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