Tra russia e ucraina
il confine della paura

Nubi sempre più fosche si addensano al confine orientale. Russia ed Ucraina hanno uomini e mezzi militari pronti a qualsiasi evenienza, mentre i leader internazionali ascoltano impotenti, da settimane, una dialettica bilaterale muscolare, piena di violenza. Pericolosi giochi di guerra sono segnalati tra Mosca e Nato nel Mediterraneo, nel mar Nero e in quello Baltico. In Donbass, nel frattempo, sulla linea di demarcazione tra le cosiddette «repubbliche popolari» filo-russe ed il territorio controllato dai governativi di Kiev si è continua tornati a morire per sparatorie e scambi di colpi di artiglierie dopo un lungo periodo di calma relativa. La paura nelle cancellerie mondiali è di essere oggi realmente vicini al punto di non ritorno di una crisi da anni «congelata» che ha già provocato oltre 13 mila morti.

È vero, in Russia il prossimo settembre verrà rinnovata la Duma, la prima dopo la riforma costituzionale voluta da Putin, mentre in Ucraina il presidente Zelensky si sta scontrando duramente con gli «oligarchi», che da tre decenni influenzano le sorti della repubblica ex sovietica. Ma insistere troppo su certi argomenti, per rafforzare il consenso interno di fronte al pericolo esterno, fa aumentare le possibilità di perdere il controllo degli eventi. Con l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca l’Ucraina ha trovato nel presidente americano un veemente sostenitore in chiave anti-russa. I tempi in cui Trump si girava dall’altra parte sono finiti. Così Washington ha appena ribadito il pieno sostegno all’integrità territoriale del Paese slavo, quindi con anche il Donbass e la Crimea, diventata regione russa dal 18 marzo 2014.

Dopo la presa di coscienza che il processo di pace di Minsk è al momento fallito, la diplomazia internazionale si sta muovendo per evitare l’irreparabile. La cancelliera Merkel ha chiesto a Putin di ritirare parte delle sue truppe ammassate alla frontiera come forma di «de-escalation» e a Zelensky di non fare passi falsi. Nell’ultimo periodo il presidente ucraino ha avuto contatti stretti con Biden e con il segretario della Nato Stoltenberg. Poi un tour di viaggi, tra cui Parigi e Ankara. I russi hanno avuto la sensazione che il leader ucraino volesse rafforzare le sue posizioni internazionali prima di tentare di riprendersi il Donbass con le armi, mentre esponenti vicini al Cremlino lo invitavano a non provarci nemmeno.

Kiev ha anche ripetuto la sua aspirazione ad aderire alla Alleanza Atlantica, provocando l’ira del Cremlino e mettendo in difficoltà i membri europei della Nato, preoccupati di potersi trovare impantanati in un conflitto altrui. Rispetto a tale scenario Mosca ha avuto parole di fuoco ed è pronta a contromisure. Immaginabili in caso di adesione alla Nato di Kiev le conseguenze per il Vecchio continente. Si tornerà indietro ai primi anni Ottanta, alla crisi degli «euromissili», con vettori a corto raggio puntati contro città ed installazioni industriali? O andrà peggio? Secondo gli esperti militari la stagione adatta per una qualche operazione in Donbass sta avvicinandosi: verso fine mese le campagne non saranno più degli acquitrini, come adesso, per la neve sciolta. Il passaggio programmato dal Bosforo di due navi da guerra Usa tra il 4 e il 5 maggio non promette nulla di buono come l’annuncio dell’acquisto da parte di Kiev di droni turchi, che in Nagorno-Karabakh hanno fatto la differenza a favore degli azeri contro gli armeni, armati con vecchie armi russo-sovietiche. Prepariamoci pertanto ad altre giornate di alta tensione, sperando almeno di evitare tragedie.

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