Un commercio
globale più equo

È la prima donna e la prima cittadina africana a capo dell’Organizzazione mondiale del commercio. L’economista Ngozi Okonjo-Iweala, già ministra delle Finanze in Nigeria, è stata nominata al vertice del Wto pochi giorni fa e ora potrà mettere a disposizione della comunità internazionale la sua grande esperienza, maturata con un percorso che l’ha portata dal grande continente africano fino ad Harvard, per poi tornare in patria a condurre battaglie cruciali come quella per la gestione dell’imponente debito del suo Paese d’origine. Si tratta di una nomina fonte di grandi aspettative come sottolineato anche da Qu Dongyu, direttore della Fao. Iweala dovrà provare a riorganizzare le regole del commercio globale dopo la pandemia, guardando in faccia anche i limiti e le storture che già si erano manifestati prima.

I dati dicono che il commercio internazionale è crollato del 10% rispetto all’anno precedente. Gli effetti si sono fatti sentire ovunque con il crollo della produzione e della domanda, le difficoltà nei collegamenti e nei trasporti, le restrizioni alle esportazioni.

Una ripresa degli scambi commerciali globali sarà essenziale per uscire dalla crisi. È doveroso discutere quali nuove regole affermare per il commercio globale, e guai se non riconoscessimo che gli scambi rimangono una componente cruciale del migliorando delle condizioni di vita di milioni di persone. Il commercio agricolo e alimentare, ad esempio, negli ultimi vent’anni è più che raddoppiato, raggiungendo un valore superiore ai 1.500 miliardi di dollari. Circa un terzo delle esportazioni di prodotti agricoli supera almeno due volte le frontiere e viene scambiato grazie a catene del valore internazionale. È stato calcolato che un aumento del 10% della partecipazione alla catena del valore globale dell’agricoltura può portare ad un incremento medio della produttività del 1,2%. Il punto, tuttavia, è che spesso i piccoli produttori sono esclusi da questi vantaggi e occorre lavorare invece perché la loro partecipazione sia sostenuta attraverso un miglioramento dei servizi rurali, delle infrastrutture, della formazione e della fruizione dell’innovazione tecnologica che non può rimanere solo nelle mani di pochi. Dove si affermano catene del valore aperte cresce il reddito diffuso, si facilita l’inserimento dei Paesi in via di sviluppo e si rafforzano anche le migliori pratiche di promozione della sostenibilità e degli standard sociali.

Secondo alcuni dati raccolti tra i coltivatori di caffè in Uganda, ad esempio, le famiglie di produttori con certificazione della sostenibiltà legate al commercio sovra-locale spendono quasi il 150% in più per l’istruzione dei loro figli, garantendo loro formazione rispetto alle famiglie di coltivatori che non partecipano a questa certificazione. Nel commercio globale vanno ora messe seriamente in discussione le posizioni dominanti, le concentrazioni di potere e la concorrenza sleale con l’obiettivo di migliorare gli scambi per renderli più equi. Non si tratta certo di tornare a logiche autarchiche controproducenti e insostenibili e le pulsioni protezionistiche dei dazi e delle barriere vanno definitivamente superate. L’Italia e l’Europa rischierebbero ancora molto se prevalessero queste logiche; basti ricordare cosa è accaduto nelle nostre cantine o nei caseifici, quando su alcuni mercati esteri sono stati aumentati i dazi sui nostri prodotti. È fondamentale lavorare per mercati più stabili e più trasparenti e va allargato il campo di gioco degli attori del commercio globale. Sia il mercantilismo che il sovranismo devono lasciare il passo a una nuova idea di mercati aperti con regole utili ad allargare i benefici a quante più persone e comunità. Anche per questa ragione, la specializzazione dei Paesi deve poter essere incentrata sui principi di massima sostenibilità ambientale e sociale, a partire dalla dignità del lavoro e dalla svolta ecologica, e non invece, sull’esasperazione della logica del taglio dei costi di produzione. Non stiamo parlando di una illusione. Questa è la sola strada possibile per un’economia dal volto umano, rispettosa del Pianeta. Il segnale che arriva con la nuova guida dell’Organizzazione mondiale del commercio fa ben sperare ma non può rimanere isolato. Perché un commercio globale più giusto è davvero possibile.

*vice direttore generale Fao-consigliere speciale

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