Vaccinarsi, la libertà
autentica e collettiva

Sono un convinto sostenitore dell’attuale, salvifica campagna vaccinale che sta consentendo a tutti noi di riprendere a vivere una sia pur prudente socialità aggregativa, produttiva e identitaria. Mi sono emozionato nell’assistere in tv il 27 dicembre scorso alla prima vaccinazione fatta a Roma e ho provato un profondo senso di libertà dopo avere ricevuto le prime due dosi e ora sono pronto a mettermi in ulteriore sicurezza con la terza, che ho già prenotato. Detto ciò, trovo del tutto ingiustificate le posizioni sostenute dai movimenti dei cosiddetti no-vax, originate dal timore di possibili conseguenze negative nel tempo derivanti dalla somministrazione dei vaccini. Non merita, peraltro, neppure una goccia di inchiostro e di attenzione l’abominevole negazionismo sulla tragedia della pandemia, che stenta ancora ad attenuarsi, e che ha attraversato in maniera invasiva le nostre vite e ha segnato noi stessi e chi ci stava vicino in una girandola di morte e di dolore evidenziati da un bollettino quotidiano di freddi numeri. Un mostro che ci ha obbligati a stare a lungo chiusi nelle nostre case, a guardare con sospetto il nostro vicino di casa, l’amico più caro, i nostri figli e i nostri genitori, attanagliati dalla paura del contagio.

Dalle testimonianze di alcuni «infuocati» sostenitori della protesta anti-vaccinale emerge come alla base di questa visione reazionaria vi sia la strenua volontà di difendere il concetto di una «libertà intesa come assenza di limiti» cosa ben diversa da quel «principio di libertà» generato dalle democrazie moderne all’interno delle quali tutti gli esseri umani godono degli stessi diritti civili.

Nonostante i più che confortanti risultati scientifici conseguiti, continuiamo ad assistere all’esaltazione politica, di stampo smaccatamente speculativo, di un liberalismo anti-oppressivo, anti-autoritario e anti-complottistico che porta a vedere nelle limitazioni e, soprattutto, nell’induzione vaccinale l’origine di una dittatura digitale sottotraccia - in stile «Grande fratello» - alla quale si ritiene sia giusto ribellarsi organizzando una «nuova resistenza». Una sorta di ritorno all’apologia della piazza - con tanta enfasi e, ahimè, con poche mascherine indossate - contro una presunta desertificazione pluralista causata dal «pensiero unico» dominante nel dibattito mediatico contemporaneo.

Questo approccio ad una libertà assoluta che non riconosce l’altro è assolutamente minoritario nell’odierno panorama scientifico e intellettuale mondiale e trae origine da tesi neo-liberiste di antica memoria. Come non ricordare che nel 1987 Margareth Tatcher, all’atto del suo insediamento come primo ministro britannico, ebbe a dichiarare: «La società non esiste, esistono gli individui». Ecco, con la pandemia molte posizioni libertarie e neo-liberiste si sono dovute scontrare con fatti oggettivi che ne hanno richiesto un drastico ridimensionamento, a cominciare dall’accettazione che non vi è libertà senza limiti. È infatti riemersa con forza la priorità della tutela dell’interesse collettivo, in questo caso la salute pubblica, la salute di tutti, che è la salute di ognuno di noi.

Perché il punto è questo. La collettività siamo noi. La libertà individuale è davvero tale solo se è partecipata, ciascuno sentendosi orgogliosamente coinvolto nel privilegio e nei sacrifici di una socialità attiva in cui si ha tutti l’onere e l’onore di essere chiamati al fronte. Ciascuno, cioè, chiamato a fare la propria parte per trasformare lo «sviluppo», concetto di per sé stesso neutro, in un «progresso» capiente per tutti e di cui tutti possano beneficiare. L’identità sociale si alimenta, giorno dopo giorno, mattoncino dopo mattoncino, delle unicità identitarie che ciascuno di noi apporta aderendo e contribuendo al bene comune, in un gioco di ruoli, di specchi, di sacrifici e di rischi calcolati nei quali siamo tutti uguali e tutti diversi, tutti necessari e tutti bisognosi l’uno dell’altro. Oggi più che mai, è il tempo di dimostrarlo e di dimostralo in massa vaccinandoci.

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