Vaccini, deleterio
il braccio di ferro

Cosa è più importante: la salute dei popoli o assecondare i soliti giochetti di politici, businessmen, faccendieri, nascosti dietro le alchimie
più disparate? Cosa è più cruciale: far ripartire tutti insieme l’economia mondiale, garanzia di ricchezza e prosperità comune, oppure tentare nell’emergenza di fregare i concorrenti? Siamo ormai arrivati ad un punto
di svolta: è venuto il momento di mettere i dettami della ragione al di sopra di tutto e di costruire una nuova realtà. La pandemia ha dimostrato come il mondo globalizzato sia piccolo. Anche le località più remote stanno soffrendo di questa «peste» del XXI secolo. L’invito del Santo Padre a non lasciare indietro gli Stati più poveri e a vaccinare più persone possibili è quanto più attuale. Il virus si riproduce infatti creando le varianti più diverse: adesso siamo alla Delta. Ma se non si agisce tutti insieme rapidamente, pensando anche al prossimo in difficoltà, rischiamo di arrivare alla Omega e di non uscire da questa situazione.

Finora, secondo dati Oms, l’85% delle inoculazioni è stato fatto nei Paesi ricchi. Ma per mettere in sicurezza il pianeta, stando all’Fmi, servirebbero 10 miliardi di dosi (gran parte delle quali non ancora prodotte) per un investimento da 50 miliardi di dollari. La «ripartenza» impone soprattutto un approccio comune, eliminando le varie «diplomazie dei vaccini» e «geopolitica dei vaccini», denunciati al G20 di Matera, o rese di conti per altre questioni in campo sanitario.

Un primo piccolo passo è quello del riconoscimento reciproco dell’efficacia dei vaccini in seno al mondo scientifico, scindendolo eventualmente dalla loro commercializzazione, diritto gelosamente conservato dagli Stati.

Cosa sta succedendo? L’Agenzia europea del farmaco non ha ancora approvato, ad esempio, lo Sputnik. Così chi si è immunizzato con tale prodotto – da San Marino ad alcuni Paesi Ue dell’Est fino alla Russia – non è riconosciuto come tale. Allo stesso tempo i russi non ricambiano con gli antidoti occidentali, così 12 mila diplomatici stranieri, molti dei quali vaccinati con altri vaccini, non possono ottenere il QRcode, ossia una specie di Green card moscovita. Eppure la prestigiosa rivista «Lancet», non tanto tempo fa, aveva certificato oltre il 90% di efficacia per lo Sputnik, che ha il problema risaputo di essere stato prodotto in quantità ridotte.

Cosa è, pertanto, più rilevante: che la gente sia stata immunizzata, rispondendo anche ad un dovere civile verso il prossimo, o la marca del prodotto usato? Questo braccio di ferro tra Stati sta rallentando la necessaria veloce riattivazione dei legami economici ed ognuno così fa per sé. Nel caso specifico i greci e i croati se ne fregano di Bruxelles ed hanno aperto con qualche limitazione al turismo russo, che in Italia vale un miliardo di euro l’anno. Soldi questi che rischiano da noi di essere buttati via, nonostante da lunedì 28 giugno Russia ed Italia abbiano deciso di ripristinare voli regolari.

A cosa servono provvedimenti medioevali come la quarantena se una persona è stata vaccinata, è in possesso dei vari QR code ed ha fatto un tampone Pcr nei tempi concordati? E poi la quarantena per gli inglesi vale 5 giorni, per altri 7, per altri ancora 10 fino a 14. Questo approccio assomiglia tanto ad una ripicca.

Allontanandoci dalle divisive Russia e Gran Bretagna (leggi Brexit), il CovidPass svizzero giuridicamente è in fase di omologazione formale da parte dell’Ue. Per reciprocità Berna aspetta a dare il suo assenso alla Green card dei Ventisette. Il tempo della ragione spinge a cambiare passo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA