Vita durissima
senza coesione

Sabato 3 giugno aprono i battenti gli stati generali dell’economia, voluti dal presidente del Consiglio. Iniziativa lodevole e mossa dall’intento, pienamente condivisibile, di aprire il confronto sugli scenari della (possibilità di) ripresa per il nostro Paese. Nel contempo, è opportuno chiedersi cosa sia ragionevole attendersi dal confronto di Villa Pamphili. E quali siano le condizioni per realizzare la svolta che il governo dichiara di voler attuare e che le forze sociali e produttive invocano per venir fuori da una crisi che sta azzannando persone, famiglie, attività produttive, servizi essenziali, strutture pubbliche. Tutte, indistintamente - anche se con problemi e soluzioni disparatissime - con il disperato bisogno di rimettersi in moto. Siamo destinati al disastro? Niente di tutto ciò, poiché le condizioni per un rinnovamento radicale del nostro sistema economico e sociale ci sono. E lo sono perché finalmente anche le istituzioni europee e mondiali hanno dato segni di aver capito che la sfida è planetaria. Non esiste la ripresa economica «in un solo Paese» (così come non esisteva il socialismo in un solo Paese).

Però, non occorre essere dei chiaroveggenti per capire che la luce in fondo al tunnel è tuttora lontana. Con uno iato tra bisogni e capacità di risposta che invece di accorciarsi, sembra dilatarsi ogni giorno di più.

In questo scenario diventano cruciali due fattori: il tempo e gli strumenti. Il tempo che scandisce la sequenza delle cose da fare; gli strumenti, economici e politici, con i quali dare corpo ai programmi di rilancio. Ottima cosa, quindi, gli «stati generali» se sapranno essere un momento di avvio per progettare concretamente il futuro. Il programma che Conte illustrerà non sembra andar oltre i desideri e i bisogni (funzionalità del sistema pubblico, economia sostenibile, formazione, digitalizzazione, e così via). Si può dire che siamo al «libro dei sogni», mentre serve - da subito - un’agenda di scelte nelle quali vi siano priorità, risorse finanziarie, soggetti coinvolti, tempi di realizzazione, strumenti di gestione e di controllo.

A Conte non si può imputare di avere fatto errori (che pure ci sono stati), poiché il governo si è trovato ad affrontare un’emergenza senza precedenti e soltanto un’opposizione priva di qualsiasi senso di responsabilità, capace di dire sempre «no», ha potuto partorire l’idea di elezioni anticipate. Anche un analfabeta capisce che, nelle condizioni attuali, serve un governo che governi per poter mettere mano all’azione di rilancio del Paese. Il momento dello tsunami sanitario è stato affrontato con coraggio facendo anche scelte impopolari. Nella seconda fase sono stati adottati provvedimenti complessivamente adeguati che hanno permesso di rimettere in moto la produzione e una serie di servizi primari. Adesso è arrivato il momento più difficile, quello nel quale occorre saper gestire e utilizzare le ingenti risorse finanziarie che verranno erogate. E, di conseguenza, si «parrà la nobilitate» di coloro che dovranno operare le scelte.

La situazione sotto il cielo non è rosea. Il governo è debole, strutturalmente e politicamente. Conte deve remare senza poter contare sulla coesione che sarebbe necessaria per andare avanti. Zingaretti si è assunto il doloroso compito di fare da cireneo. Ma non può bastare. Il M5S riesce a guardare solo al proprio ombelico, interessato a vivacchiare. Renzi coltiva unicamente l’affannosa ricerca di consensi. A ciò si aggiunge un deficit di competenza, in particolare tra i 5Stelle. In queste condizioni, difficile costruirsi una strategia credibile. La svolta può partire soltanto dal premier, affinché si possa costruire un esecutivo di alta caratura, guidato da una personalità di riconosciuta statura internazionale, che affronti l’eccezionalità della situazione. Un governo chiamato a rispondere al Paese e non ai leader di partito

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