Cosa insegna Sinner allo sport (e non solo)

MONDO. In un’epoca in cui i personaggi contano più delle persone, quell’ultimo meraviglioso lungolinea che ha chiuso la finale di Melbourne ci consegna, definitivamente, una vittoria controcorrente.

In un’epoca in cui vuoti ben confezionati trionfano a colpi di milioni di followers e accumulano ricchezze sconfinate basandosi su modelli di business di cartapesta, e trasmettono il messaggio che il successo può essere facile, quel colpo all’incrocio delle righe mette a segno il perfetto senso di una rivincita. No, il successo non è facile. E se lo sembra, alla lunga non tiene. In un’era in cui tv e social ci propinano soggetti pieni di nulla se non di se stessi, Jannik Sinner insegna che è sempre e comunque vero l’opposto. Si diventa forti grazie a un talento, ma le vie dello sport sono pienissime di talenti con un grande futuro dietro le spalle. Il talento da solo basta a niente, nello sport e non solo. Jannik Sinner insegna ai giovani quel che c’è da fare per provare a emergere: faticare, anzitutto. Imparare dai propri errori, anziché incolparne gli altri, e considerarli utili per capire dove e come crescere. Lavorare sui propri punti deboli perché lo siano sempre meno. Imparare a gestire il successo, certo, ma soprattutto i momenti meno semplici.

Jannik Sinner veniva da una brutta finale persa alle Finals di Torino. La volta dopo ha steso Djokovic, in Coppa Davis. E l’ha steso di nuovo in Australia. Lo spettro di una brutta finale si era ripresentato domenica mattina sotto il sole australiano. Ma Jannik stavolta ha saputo come fare. Ha gestito con una lucidità che sembra freddezza, ma sicuramente non lo è, il momento difficile. Ha saputo come sfruttare il lato debole dell’avversario - le energie che via via per forza sarebbero diminuite - per lavorarlo ai fianchi, e poi buttarlo giù. Non l’ha demolito come con Djokovic, per rimettere la partita in parità è bastato un break per set. A quel punto la strada non era in discesa, ma l’inerzia del match sorride quasi sempre al rimontante molto più che al rimontato.

Questo ci dice, questo ci insegna questo ragazzo pel di carota, che batte Djokovic e semplicemente saluta gli italiani appena svegli, che vince il primo Slam e ringrazia mamma e papà. Questo, ci dice: che anche nel 2024 si può essere persone prima che personaggi, e si può arrivare in alto anche grazie a quel che si impara dalle sconfitte.

Certo, anche il tennis ci ha regalato, nei decenni, personaggi mitologici, che sono entrati nella storia anche grazie al loro modo di essere «originale». Sinner non consegnerà mai - crediamo - alle cronache una scena come quella di Mac, Wimbledon 1981: «You cannot be serious», strillato in faccia al giudice di sedia. Maleducazione in purezza, tra uno slice e una volèe di dritto. Si può fare la storia anche con scene così, per carità e forse meno male: il tennis non sarebbe la stessa cosa senza McEnroe e le sue folli sclerate.

Ma al fondo di tutto rimane la sostanza altoatesina di questo ragazzo che magari alla lunga cambierà, travolto dalla fama e dal successo. Lo vedremo. Ma la sua storia non si può cancellare, e ad alzare quel trofeo Sinner c’è arrivato grazie al talento da fuoriclasse e al lavoro da operaio. E a una testa da campione che gli servirà anche, d’ora in poi, per gestire le invidie di cui è sempre piena l’aria.

Imparassero qualcosa - sperare costa niente, ma chi vive sperando... - tutti coloro che in altri campi, sportivi e non, incassano in esclusiva i meriti dei loro successi e distribuiscono sempre agli altri le colpe dei fallimenti.Nel calcio, prima di tutto, l’alibi è sempre in offerta speciale. Certo, il tennis è uno sport individuale, discorso diverso. Ma l’approccio vale sempre e comunque: studio, lavoro, preparazione, merito, crescita. Persino in Italia, pensa te. Grazie Jannik, infine, per aver restituito a noi appassionati della racchetta un italiano da tifare. A noi, che sono decenni che tifiamo la qualsiasi, e se si voleva un’emozione tricolore toccava accontentarsi di un diritto di Pescosolido.

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