Cyberpirateria, il fenomeno cresce: «Aziende bergamasche poco vigili»

IL REPORT. L’ultimo, in ordine di importanza, è stato registrato ieri mattina (19 ottobre), un attacco informatico al profilo social del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti invaso per alcune ore da una pubblicità di trading online.

Azione plateale, ben diversa da quelle che colpiscono molte aziende, anche del nostro territorio, con blocchi meno roboanti a livello mediatico, ma più dolorosi negli effetti pratici. Seppur restie ad ammetterlo, quelle che si sono ritrovate «sotto attacco», scoprendo le falle dei loro sistemi di sicurezza, sono sempre più numerose.

Però, se la consapevolezza esiste, ben poco si fa per tutelarsi veramente dagli attacchi hacker. A sottolinearlo il «Cyber Index Pmi», primo rapporto sullo stato di consapevolezza in materia di rischi legati alla sicurezza informatica delle aziende di piccole e medie dimensioni promosso da Confindustria e Generali, col contributo scientifico dell’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano e la partnership dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale che, intervistando un campione nazionale di 700 imprese, rivela come 51 su 100 raggiungano la sufficienza rispetto alla consapevolezza del problema, ma solo il 14% lo affronta un maniera strategica. Come il vecchio detto «è intelligente, ma non si applica» le aziende rimandano il problema a data da destinarsi, non riuscendo forse a cogliere quale sia il punto di partenza per affrontare la questione. Sul territorio bergamasco la situazione non migliora. «Quello che tende a mancare, ad oggi, è una piena consapevolezza dei rischi - conferma Giulio Guadalupi, presidente del Digital Innovation Hub Lombardia antenna Bergamo, di cui è partner Confindustria Bergamo insieme a Intesa Sanpaolo, Kilometro Rosso e Università di Bergamo, - Ciò è particolarmente vero per le piccole e medie imprese, che sono in grande maggioranza nel nostro territorio, dove spesso non ci sono le competenze tecniche adeguate a identificare i problemi e promuovere possibili azioni di prevenzione».

Carenza di competenze

Il tema della mancanza di competenze è il vero nodo, ancora più centrale dell’impegno economico richiesto, come spiega Guadalupi: «Non è solo un problema di risorse economiche, ovviamente necessarie; serve un cambiamento culturale centrato sull’importanza di investire nella prevenzione del rischio, che collochi la business continuity ai primi posti di ogni strategia aziendale. Il panorama è comunque in movimento, come conferma il nostro impegno in assessment mirati e l’organizzazione, all’interno dell’evento di cybersecurity “No Hat” in programma sabato, di approfondimenti su questi temi rivolti agli associati di Confindustria Bergamo e del Consorzio Intellimech».

La fotografia scattata dal rapporto «Cyber index Pmi» accende i riflettori su alcune questioni urgenti: il 52% delle Pmi, infatti, opera all’interno di filiere critiche, relazionandosi con multinazionali, pubblica amministrazione, operando in Paesi con instabilità geopolitica. Inoltre, minori sono le dimensioni aziendali, maggiori sono i rischi. Un ritardo, quello rispetto alla cybersecurity che va colmato in fretta per non aggravare la situazione nel confronto con altre tecnologie dirompenti, come conferma Bruno Frattasi, direttore generale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale: «A ciò si aggiunge anche la sfida posta dall’affermarsi di tecnologie dirompenti come l’Intelligenza Artificiale e il quantum computing, con tutte le opportunità e rischi che ne conseguono».

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