L’Atalanta, la sua gente e l’anno che verrà

ITALIA. Eravamo rimasti a Steve Pagliuca che, in trasferta su questo lato dell’Atlantico, usciva da un summit nel quartier generale di Percassi dicendo una parola: «Win». Vincere. Questo basta e avanza, se lo si vuol interpretare come un manifesto programmatico per l’Atalanta che verrà, che viene, che ormai suona il campanello alla porta d’ingresso della nuova stagione.

Win. E sia chiaro: il bergamasco medio è dispostissimo ad assegnare a quel termine il significato più ampio possibile. In sintesi: giocate per questa maglia, giocate per questa gente, arrivate fin dove potete, basta che per quel «dove» siate pronti a sudare tutto il sudabile. Poi succeda quel che deve succedere, non siamo abituati, qui, a fare i conti dei «tituli» e a giudicare le stagioni col metro del pallottoliere dei trofei in bacheca.

Certo, quel «Win» pare di averlo visto tradotto in un mercato senza precedenti. Non solo e non tanto per i nomi e le cifre, ma per la sintesi di tutto questo: mentre le principali società italiane fanno enorme fatica ad aprire la cassa, e quando la aprono trovano spiccioli o debiti, l’Atalanta ha preso il loro posto al tavolo delle trattative. Ha venduto un giovane al Manchester United per una cifra da capogiro. E non è un colpo di fortuna: l’operazione Højlund si chiude per la capacità di averla aperta, per la capacità di aver visto quel talento, di averlo preso prima degli altri, per il coraggio di mettere sul tavolo 17 milioni, non una cifretta. Da quella sintesi di competenza nasce il premio di questa cessione, e dunque le operazioni che adesso l’Atalanta è in grado di portare a termine cash alla mano: il centravanti della Nazionale preso mentre lo stava trattando l’Inter, con la Roma che ora vorrebbe, ma di fatto fatica a pagarlo, il centravanti riserva di Scamacca nell’Atalanta. La sintesi è tutta qua: stiamo assistendo, fermo restando il realismo tipico di questa terra, a un cambio di pelle che potrebbe consolidare la posizione dell’Atalanta nella first class del calcio italiano. Posizione che l’Atalanta si è guadagnata negli ultimi anni grazie a una proprietà lungimirante, a dirigenti competenti, a un allenatore che è stato il carburante delle motivazioni e il carburatore dei risultati. Tutto senza mai sbandierare nulla, senza mai indicare mete, ma raggiungendole.

L’entusiasmo incredibile che si è respirato ieri pomeriggio allo stadio conferma tutto questo. Anche quest’anno vivremo momenti esaltanti e momenti difficili: salite e discese, come dentro ogni percorso in ogni ambito. Ma le premesse ci consegnano un’Atalanta ancora in grado di competere con le più grandi, anzi: nessuna, nemmeno il Napoli, sembra aver accresciuto davvero il proprio potenziale rispetto alla scorsa stagione. L’Atalanta sì, almeno sulla carta. E questo è un cielo sotto il quale la situazione è eccellente per ricavarsi di nuovo uno spazio di luce. Tutto questo non scordando la pazienza che tutti occorre avere con i nuovi acquisti: nessuno nasce imparato, e basta volgere lo sguardo al passato recente per ricordare giocatori in grande difficoltà iniziale, poi esplosi e diventati importantissime plusvalenze.

Certo, il mercato è ancora aperto e molto può ancora succedere, qui come dentro le rose delle concorrenti. Gli ultimi giorni, e le ultime ore soprattutto, diventano febbrili, indispensabili per riuscire a fare quel che nei mesi precedenti, per mille ragioni, non s’è fatto: è l’ultimo atto di un mercato che, Gasperini ha tutte le ragioni del mondo, ha una durata allucinante. L’Atalanta è comunque pronta, secondo quel che circola nei corridoi, a coprire le ultime necessità.

Poi, certo, occorrerà sfoltire: il reparto «esuberi» sembra nutrito, ma sono esuberi di qualità e alla fine la qualità troverà una destinazione, altrove o, magari, qui. Per tutto il resto, bastano due parole: forza, Atalanta.

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