Superbonus e manovra: il governo fa i conti

ECONOMIA. La notizia del giorno arriva da Bruxelles dove il ministro Fitto ha incontrato i «controllori» europei dell’attuazione del Pnrr (anzi, del nuovo Pnrr, quello rivisto dal governo in carica): sappiamo da lassù che finalmente sarà pagata la terza rata dei 191 miliardi.

La aspettavamo dalla fine dell’anno scorso, ma proprio la revisione del Piano ha fatto slittare il bonifico di mese in mese fino a quando, in luglio, non si è riusciti a trovare un accordo. L’importo scende un po’ (da 19 a 18,5 miliardi) ma adesso è sicuro che arriveranno. È stato poi detto che a breve il governo potrà fare la richiesta di pagamento della quarta rata: la speranza è che arrivi entro il 2023 ma nulla, a questo punto, è più sicuro. Nel frattempo la rimodulazione del Pnrr provoca la rivolta di sindaci e governatori, anche di centrodestra, che temono il blocco dei cantieri per via di quei progetti che sono stati defalcati dal Piano con l’assicurazione che saranno rifinanziati con altri fondi. Stiamo parlando di 16 miliardi, la maggior parte in capo agli enti locali e destinati al territorio, cioè alla cura del dissesto idrogeologico che ogni anno che passa si fa più grave e soprattutto più costoso. I governatori temono che questo definanziamento porterà al blocco dei cantieri con conseguenze che si possono immaginare. Il governo rassicura, Fitto si sbraccia a dire che tutto si sistemerà, ma nel frattempo l’Ufficio parlamentare per il Bilancio scrive che non si riesce proprio a capire dove si potranno trovare quei 16 miliardi e che senza gli investimenti previsti, fatalmente le conseguenze si catapulteranno sul Pil che è già in frenata anche se forse dovrebbe essere garantito a fine anno ancora il segno più. Speriamo.

Chi, a sua volta, teme la chiusura di migliaia di cantieri è l’Associazione dei costruttori, l’Ance, che protesta per il freno che il governo mette al Superbonus. «La più grande truffa allo Stato di tutti i tempi», secondo Meloni, o «un pranzo consumato da altri che adesso tocca pagare a noi», stando al ministro Giorgetti (il quale confessa di «avere maldipancia ogni volta che gli tocca pensarci») è invece considerato dal suo ideatore Giuseppe Conte «una Ferrari» che il governo avrebbe messo fuori uso. A parte le truffe, tuttavia, l’Ance sostiene che la misura ha dato una mano enorme all’economia in un momento di difficoltà e che se adesso si bloccano i lavori e si cambiano continuamente le regole anche per i cantieri già aperti ed avviati, si rischia il disastro pure occupazionale e sociale. Forse la voce dei costruttori è di parte, però è condivisa dalle opposizioni e dai sindacati che vedono nella frenata del governo soprattutto l’aspetto negativo, quello cioè che ci porterebbe diritti verso la recessione allineandoci così a molti Paesi europei. Tra i quali la Germania, a proposito della quale c’è da dire che il Cancelliere Scholz, oltre ad essersi fatto male all’occhio tanto da dover indossare una vistosa fasciatura, ha ricevuto un ceffone dalla sua magistratura contabile secondo cui i conti federali non tornerebbero: insomma il rigore teutonico non sarebbe poi così specchiato. A Sud dell’Unione si spera che la reprimenda spunti almeno in parte le armi dei «rigoristi» nordici che stanno spingendo per un nuovo Patto di stabilità che ci riporti all’epoca dell’austerità pre-Covid e pre-Ucraina, come se non fosse successo nulla e si potesse serenamente tornare ai «compiti da fare a casa» di merkelliana memoria.

A sperare che la figuraccia di Berlino sortisca qualche effetto è soprattutto il governo italiano alle prese con una manovra economica 2024 che si rivela, giorno dopo giorno, più complicata di quanto il ministro Giorgetti temesse solo fino a qualche settimana fa.

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