Inchiesta Covid: poche mascherine, lo scontro medici-Ats

Le chat. A marzo 2020 l’Agenzia di tutela della salute avviò controlli sugli studi chiusi. Marinoni al dg Giupponi: «Non riuscite neppure a fornirci i Dpi». La relazione di Crisanti: «All’ospedale di Alzano virus già dal 4 febbraio».

All’inizio di marzo 2020 i contagi Covid nella Bergamasca si moltiplicano come uno tsunami. Non vengono risparmiati i medici di base, molti dei quali non hanno neppure le mascherine da indossare. In questo contesto, sulla stampa locale esce la notizia che Ats Bergamo ha avviato controlli per verificare, tra le altre cose, se gli studi dei medici di famiglia stanno rispettando i giorni e gli orari di apertura previsti. Un’iniziativa di per sé legittima da parte dell’Agenzia di tutela della salute, che suonerà però grottesca per l’evolversi della situazione di lì a poco. Alla fine dell’emergenza il conto sarà di circa 150 medici contagiati (9 moriranno).

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Lo scontro Ats-medici di base

L’iniziativa di Ats suscitò da subito le ire del presidente dell’Ordine dei medici Guido Marinoni. È quanto emerge dalle chat acquisite dagli inquirenti e finite nelle carte dell’inchiesta. È il primo marzo 2020 quando Marinoni (estraneo alle indagini) gira a Giupponi (oggi fra gli indagati) il ritaglio di un giornale in cui si parla dei controlli avviati da Ats sui medici: «Ma ti sembra il caso, in una situazione in cui non riesci a fornire i Dpi e a garantire le sostituzioni? Forse c’è altro di cui occuparsi... io non intervengo ora perché non è questo il momento ma è una cosa gravissima, se è vera. Invece di esprimere sostegno e solidarietà a chi lavora». «Lo stiamo facendo Guido» la risposta del direttore generale di Ats, il quale spiegava che i controlli riguardavano tutti i servizi, anche i Centri diurni disabili, non solo gli studi medici. «Guarda se non capisci da solo è inutile che te lo spieghi» taglia corto Marinoni.

Alla fine dell’emergenza il conto sarà di circa 150 medici contagiati (9 moriranno).

Il 3 marzo Massimo Giupponi scambia messaggi con un funzionario dell’Ats di Milano sul problema mascherine ai medici di medicina generale (Mmg). Quest’ultimo gli chiede: «Servono queste informazioni per l’incontro con l’Ordine dei medici di oggi pomeriggio: i Mmg hanno avuto la possibilità di avere i Dpi? In che percentuale è possibile stimare i medici che hanno avuto i Dpi? Si chiede riscontro». Dalla risposta di Giupponi emergono le difficoltà di reperimento: «Medici che hanno avuto i Dpi 73 su circa 750. I medici della Val Seriana in percentuale del totale 9 per 100».

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«Ricevevo telefonate di imprenditori che volevano regalarci 30mila euro per comprare le mascherine – ricorda il presidente dell’Ordine, Marinoni – io rispondevo: “Dateci mascherine per 30mila euro, non i soldi, perché non sappiamo dove comprarle!”. Si vedevano in giro le forze dell’ordine che le avevano, ma avevano canali diversi di approvvigionamento. Questa inchiesta – riassume il presidente dell’Ordine – al di là delle eventuali responsabilità, dimostra due cose: che la zona rossa andava fatta e che noi medici eravamo senza mascherine».

«Questa inchiesta – riassume Guido Marinoni – al di là delle eventuali responsabilità, dimostra due cose: che la zona rossa andava fatta e che noi medici eravamo senza mascherine».

Di penuria di mascherine parla anche il microbiologo Andrea Crisanti all’interno della sua consulenza ai pm: per «sopperire» alla carenza di chirurgiche e di Ffp2, nei giorni successivi al 23 febbraio 2020, agli operatori sanitari dell’ospedale di Alzano era stata data l’autorizzazione «a utilizzare le mascherine dei kit anti-incendio presenti» nei reparti e a «riutilizzare le Ffp2», cosa «contraria a ogni principio di sicurezza», annota Crisanti, che punta il dito contro il fatto che non fossero state predisposte precedentemente «scorte sufficienti».

I sindaci della Val Seriana

Dai «messaggi» acquisiti dalla Procura, «scambiati tra i sindaci della Val Seriana con Massimo Giupponi», dg di Ats, «emerge» come i primi cittadini «avessero ricevuto istruzioni di non prendere iniziative personali», mentre «avrebbero potuto autonomamente istituire tempestivamente» la zona rossa ad Alzano e Nembro, scrive ancora Crisanti. I sindaci, si legge, «hanno preferito allinearsi alla indicazioni delle autorità sanitarie e politiche di Regione Lombardia» e hanno «rassicurato le proprie comunità invece di prendere decisioni che avrebbero bloccato il contagio».

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«Nessuno sapeva da che parte muoversi, era una impreparazione generale, non penso sia colpa di qualcuno»

Dalle conversazioni con Giupponi, il sindaco di Alzano Camillo Bertocchi appariva «più preoccupato delle conseguenze negative della zona rossa per l’economia che del virus», scrive Crisanti. Dell’inchiesta Bertocchi – interpellato – preferisce non parlare: «No comment», ha dichiarato ieri. Nessuno fra i sindaci – va però precisato – risulta indagato. La valutazione fatta dalla Procura è che sì, avrebbero anche potuto decretare la zona rossa per il loro Comune, ma non avevano a disposizione i dati puntuali sull’entità del contagio di cui invece disponeva Regione Lombardia.

È il presidente della Comunità montana della Val Seriana Giampiero Calegari, sindaco di Gorno, a dire all’Ansa che «nessuno sapeva da che parte muoversi, era una impreparazione generale, non penso sia colpa di qualcuno». Silvano Donadoni, sindaco di Ambivere, ha ricordato la prima riunione con tutti i sindaci della provincia il 23 febbraio 2020. «Eravamo 250, tutti stipati al Centro congressi. Ho pensato: se qui uno è contagiato, buona parte di noi porta a casa il Covid. Io ero l’unico con la mascherina e un dirigente Ats mi prese in giro, “cosa ci fai con la mascherina?”».

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I tamponi

Non solo penuria di mascherine, ma anche, evidentemente, di tamponi, come emerge dalle chat fra il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e Marco Salmoiraghi (entrambi estranei all’inchiesta), dirigente che operava all’interno dell’assessorato al Welfare di Regione Lombardia: «Continuo a ricevere sollecitazioni e tu immagino più di me – scriveva Gori il 16 marzo – perché si facciano tamponi di massa al fine di isolare tutti i positivi anche se asintomatici e relativi contatti. Lo fa il Veneto, perché noi no? Dimmi solo se c’è una vaga possibilità che si prenda questa strada o se la escludi per infattibilità». Salmoiraghi replica: «Aveva un senso quando stavamo cercando di isolare i focolai. Da diversi giorni è evidente che il virus è ubiquitario... e infine per testare 10 milioni di persone servirebbero settimane e settimane... facciamo fatica a capirne il senso».

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«Alzano, Covid già dal 4 febbraio»

Stando alla consulenza di Crisanti, infine, all’ospedale di Alzano Lombardo il Covid circolava già dal 4 febbraio 2020, più di due settimane prima della data del caso di Paziente 1, con tre pazienti infetti ricoverati nel reparto di Medicina al terzo piano e uno nel reparto al secondo piano «con un quadro clinico compatibile con infezione da Sars-Cov2 poi confermata con tampone molecolare».

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