Cologno, mai da «codice rosso» i litigi della coppia. Lui vedeva i «fantasmi»

COLOGNO AL SERIO. Trasferito in Psichiatria il nigeriano arrestato per aver ucciso a coltellate la convivente. Non si curava da novembre e il mese dopo perse il lavoro.

A novembre Osarumwense Aimiose, nigeriano di 45 anni con problemi psichiatrici, aveva smesso di assumere i farmaci che gli erano stati prescritti dal Cps (Centro psico-sociale) di Romano e aveva cominciato a vedere i «fantasmi», ossia visioni difformi dalla realtà, che probabilmente gli si sono ripresentati giovedì pomeriggio, quando nel corso di una lite scoppiata nel monolocale in una palazzina di corte in via Donizetti 19 a Cologno al Serio, ha ucciso la compagna Joy Omoragbon, connazionale di 49 anni.

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Numerosi i fendenti al collo, al torace e allo stomaco, sferrati con un coltello da cucina che non hanno dato scampo alla donna. L’autopsia, disposta dal pm Laura Cocucci, chiarirà meglio la dinamica dell’aggressione. Già nel 2013 la compagna lo aveva denunciato, ma poi il fascicolo era stato archiviato. I carabinieri stanno accertando i motivi dell’archiviazione, tra cui potrebbe esserci la remissione di querela da parte della donna.

Anche martedì 26 c’era stato un alterco tra i due, che vivevano in condizioni disagiate e faticavano a pagare l’affitto. Nella corte di via Donizetti erano intervenuti gli agenti della Polizia locale di Cologno. «Non era materia da codice rosso», spiega il comandante Ugo Folchini. Ma gli agenti non hanno trascurato il caso. Si sono trattenuti, hanno chiesto i motivi e Joy Omoragbon ha spiegato che si trattava di una discussione accesa scoppiata per la situazione sanitaria del compagno. Così, gli agenti hanno telefonato al Cps di Romano, rappresentando la situazione. E dal Cps, dove il 45enne era in cura dal 2014, è arrivato immediatamente, tramite i vigili, l’invito bonario a presentarsi negli ambulatori. Lui ha accettato di tornare al Centro che lo aveva in cura e, accompagnato da Joy, ci è andato lo stesso giorno.

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«Il nostro obiettivo primario – ricorda Luca Moltrasio, direttore del Dipartimento salute mentale e dipendenze dell’Asst cui fa capo il Cps di Romano – è garantire cure e supporto efficaci per i nostri pazienti, le loro famiglie e le comunità coinvolte. L’obiettivo è non far sentire soli i nostri pazienti, le famiglie, le comunità, anche di fronte a tragedie che ci interrogano. Il personale a volte è stanco, ma sempre più impegnato nell’obiettivo di aiutare che è vittima e chi è imprigionato nella malattia».

Che cosa sia successo nelle successive 48 ore resta uno scenario che i carabineri della Compagnia di Treviglio e i colleghi del Nucleo investigativo di Bergamo stanno cercando di ricostruire nei minimi dettagli. Anche perché Aimiose, difeso dall’avvocato Francesco Pierotti, ha risposto molto confusamente alle domande del pm Cocucci e degli investigatori dell’Arma.

«Il problema principale delle patologie inerenti la salute mentale, ancor più che di altre sfere – spiega Antonio Manfredi, direttore sanitario di Asst Bergamo Ovest – è l’aderenza al programma, ovvero la capacità del paziente di seguire le indicazioni dei sanitari sia per quello che riguarda la terapia sia per i controlli impostati. La difficoltà in genere si riduce nel tempo ed è legata alla fidelizzazione, ovvero al rapporto medico-paziente che si consolida nel tempo, ma purtroppo è difficile che si azzeri. Tragedie come questa sono quasi sempre legate al rischio, significativo, dell’imprevedibilità».

Ieri, 29 marzo, l’uomo è stato trasferito dal carcere di Bergamo alla stanza del reparto di Psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni riservata ai detenuti, dove stamattina è in programma l’interrogatorio di convalida da parte del gip Vito Di Vita.

Fino a una decina di anni fa Aimiose lavorava nelle stazioni di servizio come addetto al lavaggio auto. Ultimamente aveva lavorato come operaio in una ditta di verniciature a Morengo. A dicembre, però, non gli era stato rinnovato il contratto. E da lì aveva cominciato ad accusare nuovamente comportamenti strani che avevano innescato liti con la convivente. Ultimamente per due volte la donna, che lavorava saltuariamente come badante, aveva chiesto l’intervento delle forze dell’ordine senza però formalizzare denunce ed evidenziare situazioni da «codice rosso».

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